Dopo la breve pausa estiva e dopo l’interminabile pausa Covid, il Teatro alla Scala riapre o meglio si apre alla regione e al mondo inviando la sua orchestra e il suo coro a eseguire in ricordo delle vittime della pandemia il Requiem di Giuseppe Verdi nelle cornici sacre e austere del Duomo di Milano (4 settembre), della Basilica di Santa Maria Maggiore di Bergamo (7 settembre) e del Duomo Vecchio di Brescia (9 settembre), sotto la guida del direttore musicale Riccardo Chailly e al cospetto di autorità nazionali e locali.

AL CONCERTO di Milano hanno assistito il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo Dario Franceschini, la Presidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia, il Sindaco della città Giuseppe Sala, il Presidente della Regione Attilio Fontana, l’Arcivescovo Mario Enrico Delpini, insieme a un numero nutrito di altre autorità e celebrità. Ma soprattutto la cittadinanza, in particolare quella rimasta eroicamente attiva durante la pandemia (medici, infermieri, trasportatori, forze dell’ordine ecc.), vera ospite d’onore, che ha potuto assistere all’evento, oltre che dai banchi del Duomo, anche attraverso la diretta su Rai5, Arté, Radio3 Rai e sui megaschermi della Basilica di Codogno (dove è stato diagnosticato il primo caso di Coronavirus) e delle chiese milanesi di San Michele Arcangelo, Santa Rita al Corvetto, Santa Rita alla Barona e Sant’Agnese nel quartiere Vialba.

L’OCCASIONE non è, come di consueto con questo componimento grandioso e straziante, quella di una festività liturgica o di un ritrovo mondano, ma quella commossa di un rito collettivo necessario: piangere i propri morti insieme, condividere un lutto il cui peso è stato esacerbato dal trauma di aver perso parenti e amici senza poterli accompagnare, confinati in un isolamento allo stesso tempo doveroso e disumano. Il pubblico è entrato composto e circospetto, superando i controlli, anch’essi rituali, con i quali le persone di buona volontà stanno tentando faticosamente di convivere ormai da mesi, risparmiando momentaneamente alle millenarie volte a crociera del Duomo l’onta di affacciarsi sulle intemperanze ripugnanti di viveur incalliti, egoisti recidivi e ignoranti negazionisti.

SUBITO dopo l’appello accorato dell’Arcivescovo a “condividere le ferite, la fierezza e la preghiera”, le note del Requiem, anche prima del fragoroso “Dies irae”, hanno spazzato via non tanto il mondo esterno, come sarebbe successo in un concerto ordinario, ma la sue impurità, le sue patologie: quelle dell’anima, non quelle del corpo, che siamo stati tutti chiamati a ricordare e a comprendere, come le comprende l’incommensurabile partitura di Verdi nello sforzo titanico di redimere l’umana caducità e il dolore che essa provoca. Chailly ha diretto con intensità e partecipazione Krassimira Stoyanova, Elīna Garanča, Francesco Meli, René Pape e il coro scaligero, che hanno dato voce allo strazio che erompe, si ascolta e si ricompone in preghiera. Una preghiera che è salita alle volte mute del Duomo risucchiata dalle sue colonne gelide e vertiginose, mentre sulle guance contratte di alcuni scendevano lacrime infuocate e altri bisbigliavamo il fugato finale “Libera me Domine de morte eterna”, invocando di essere liberati dalla dannazione divina o più umilmente dall’umanissima paura della morte.