La globalizzazione ha seminato speranze e creato possibilità. Lo ha fatto nei paesi sviluppati (apertura dei mercati, importazioni a basso prezzo, possibilità di esportare e di produrre). Lo ha fatto nei più grandi paesi arretrati (afflusso di capitali, possibilità enormi di produrre ed esportare…). Insieme a merci e capitali si sono mosse anche persone (dall’est all’ovest dell’Europa, dai paesi asiatici verso l’Europa, dal sud al nord delle Americhe). Oggi questa fase espansiva si è arrestata.

Nei paesi avanzati le speranze si sono tramutate in paure (perdita di lavoro, incertezze sul futuro, abbassamento dei salari) alimentando un bisogno di protezione ed una tendenza a chiudersi. Nei paesi arretrati si è consolidata un’area dei paesi fermi che hanno visto peggiorare le condizioni di vita dei loro popoli (guerre, condizioni climatiche….) ai quali non rimane che la speranza di una fuga disperata verso i paesi ricchi. La coincidenza temporale tra queste due opposte spinte determina quella che possiamo chiamare la grande contraddizione dei nostri tempi.

Come governare una situazione così complessa? Ci vorrebbe un governo mondiale capace di varare un progetto di riequilibrio e di governo dei processi. Ci vorrebbe una grande ondata di solidarietà e l’assunzione del tema della redistribuzione come necessità storica di fronte alla grande stagnazione. La chiesa e Papa Francesco predicano e praticano con le loro missioni ed opere caritatevoli – sono le loro forme di azione – accoglienza e solidarietà. Due parole che appartenevano alla sinistra. Ma la sinistra di oggi sembra non avere le parole adatte per fronteggiare la grande contraddizione. Non le ha perché per la sinistra non è sufficiente dire parole giuste. Le parole non possono essere prediche, ma debbono essere strumenti di azione, strumenti che convincono, trascinano, impegnano a lottare per cambiare.

Le parole della sinistra dovrebbero unire i poveri dei paesi ricchi con quelli che arrivano dai paesi poveri. Ma questo non avviene e la sinistra appare debole quando apprezza e fa proprie le giuste parole della Chiesa ed appare succube quando finisce per accodarsi alle parole della destra. Nel frattempo la destra con le sue parole che seminano paure ed odio fa opinione, alimenta chiusure, esplosioni di razzismo.

Che fare allora? Non ci resta che sentirci impotenti e tagliati fuori dal corso degli eventi e della storia? Le risorse ci sono. Nelle tante forze giovanili ed impegnate nei movimenti per l’accoglienza, sono nelle tante persone che sanno cosa significano razzismo ed esclusione. Ma l’insieme di queste forze non riesce a fare massa critica, a creare opinione diffusa, a mobilitare. Il fatto che la sinistra tutta abbia più consensi nelle aree centrali e meno in quelle periferiche parla da solo e spiega perché essa non riesce a legare il disagio degli italiani a quello degli immigrati.

Ma pensiamoci bene. Anche quelli che urlano contro i migranti e magari vivono in periferie desolate, senza lavoro e senza servizi, sono dei fuggitivi: sfuggono dai problemi che li assillano, riversando le colpe sui poveri che arrivano invece di lottare e semmai di unirsi a loro. E così gli ultimi si dividono, si contrappongono, si disarticolano. Ma non è colpa loro se questo accade. Chi dovrebbe fare questo, proporlo, organizzarlo se non la sinistra? Ecco allora il problema. La sinistra non può oscillare tra l’accogliere in nome della solidarietà gli ultimi che arrivano senza mettersi in regola con gli ultimi che stanno tra noi. Né può pensare di affrontare il problema sposando la linea dura per recuperare consensi. Su questo terreno vincerà la destra, perché l’ha detto per prima ed è più credibile.

Quando parliamo di sinistra del futuro dovremmo parlare di queste difficoltà ad unire i tanti fuggitivi, interni ed esterni, in una grande battaglia per una più equa distribuzione, intanto, di quello che c’è, dei redditi, del lavoro, dei poteri. Altrimenti mentre noi parliamo di sinistra del futuro rischiamo di assistere al ritorno del passato, del razzismo, dei nazionalismi, della guerre.

Ps. Mi ha stimolato a scrivere questo articolo la lettera al manifesto di Mauro Polidori di Acilia che ci invita a guardare alle periferie urbane ed anche, aggiungo, ai piccoli centri, dove una informazione tutta centrata sui migranti nasconde la crisi da abbandono che essi vivono.