Sono solo canzonette, sentenziò Edoardo Bennato nella preistoria del 1980, e tuttavia direi che la cultura politica del Sanremo numero 68 formato, e firmato, Claudio Baglioni, ha messo in scena qualcosa di più e di meglio di quanto fanno in questa orribile campagna elettorale i politici e gli antipolitici di professione.

Certo, a ragione – secondo me – alcune femministe (cito Manuela Ulivi, della Casa delle donne maltrattate di Milano) hanno criticato l’eccessiva spettacolarizzazione e banalizzazione sul tema della violenza sessuale maschile, soprattutto da parte di Michelle Hunziker (che se ne occupa insieme all’avvocata Giulia Buongiorno, incomprensibilmente folgorata proprio dal «pensiero» di Matteo Salvini…).

Tuttavia non è mancata una imprevista apertura psicanalitica quando l’ex Pooh Red Canzian, col suo bravo fiorellino bianco all’occhiello, ha ammesso che la violenza contro le donne è un problema di noi uomini (credo lo abbia detto anche Baglioni, a un certo punto), e che dovremmo per cominciare non limitarci ad amare sul serio solo le nostre mamme…

Se spostiamo lo sguardo alle musiche vincitrici vediamo che più che le solite rime tra amore e cuore (la canzone di Annalisa, terza classificata, si affida tradizionalmente alla protezione del suo bello, ma confessa un «sento solo il presente» che potrebbe indurci a riflessioni più profonde) il consenso del popolo delle canzonette ha apprezzato i temi drammatici e controversi del nostro vissuto reale: il terrorismo e la precarietà del lavoro.

I simpatici dello «Stato sociale», che hanno una sera indossato i nomi degli operai Fiat ingiustamente tenuti lontano dal loro lavoro, hanno anche avuto ai miei occhi di quasi settantenne il pregio di valorizzare le risorse della terza e quarta età, grazie alle acrobazie ballerine dell’incredibile Paddy Jones. (Ma è stata una delle cifre costanti dello spettacolo diretto dal coetaneo paterno autore di Avrai…)

Infine Ermal Meta e Fabrizio Moro hanno ripetuto a chi spara, uccide, piazza bombe nelle piazze e ai concerti, e anche a chi bombarda a fin di bene («non esiste bomba pacifista»): «Non mi avete fatto niente. Non avete avuto niente. Perché tutto va oltre le vostre inutili guerre…». È un auspicio e un sentimento che in fondo contiene alcune verità, ma certo ci sarebbe, anzi c’è sicuramente da discutere.

Cosa che si è fatta sabato 10 alla Casa internazionale delle donne di Roma, a partire non certo da Sanremo, ma dal testo del Gruppo del mercoledì «Sulla violenza. Ancora». Ha aperto Letizia Paolozzi ( l’intervento è su www.donnealtri.it) segnalando il filo che lega fatti di cronaca diversi e distanti: la orribile fine e le orribili relazioni vissute da Pamela a Macerata, la violenza subita a Milano da Jessica, la «vendetta» a colpi di pistola di Luca Traino contro non-ancora-cittadini colpevoli di avere la pelle scura, le aggressioni delle baby-gang napoletane… Un filo che parla prima di tutto del fatto che ad agire violenza sono tutti maschi di varie generazioni, culture, strati sociali, etnie.

Mentre si discuteva a Roma tra donne (e alcuni, pochi, uomini) a Macerata c’era la manifestazione. Una cosa certamente buona.

Ma il linguaggio antifascista e antirazzista, condito e offuscato dalle solite nostre «guerre inutili» pre-elettorali, riesce davvero a dare conto del senso di quanto accade?

Il sindaco di Macerata, con dietro l’ombra del ministro Minniti, ha continuato vergognosamente a invocare alternative, senza essere capace di fare e proporre nulla.

Ma non starebbe anche a «noi» – noi uomini di sinistra – inventare altri modi di conoscere, di agire, di parlare?