Quante volte al supermercato ci imbattiamo in offerte allettanti per il nostro portafogli? Difficilmente però potremmo immaginare che quel prezzo sottocosto in realtà nasconde una voragine nera e profonda, fatta di sfruttamento del lavoro, caporalato e vita nei ghetti fatti di cartone e lamiere. Chi paga il saldo di alcuni dei prodotti che troviamo a buon mercato? Dalle arance dell’agricoltore con un ettaro di terra tra Rosarno e la piana di Gioia Tauro ai pomodori provenienti dal sud della Sicilia; ma anche aziende con fatturati milionari a Saluzzo, nel cuneese, fino ai ricchi vigneti della valle del Chianti. Storie della lunghissima filiera dello sfruttamento del lavoro che fa leva sul nostro potere di acquisto e sulla ricattabilità dei lavoratori, consumatori che portano nel piatto arance, pomodori, pesche, kiwi, dal costo in realtà altissimo.

Domande che mettono in discussione un modello di mercato della filiera agroalimentare e che Antonello Mangano, giornalista freelance e scrittore, nel suo ultimo libro Lo sfruttamento nel piatto, lascia aperte alla società consumatrice e alla politica, non senza tracciare possibili soluzioni e strade praticabili. Filiere invisibili a chi ogni giorno al banco della frutta deve fare i conti con le monete, senza sapere quanti e quali passaggi, e a quali costi ha subito quel pomodoro nel barattolo a 30 centesimi. Ma anche mercati alternativi: i Gas (Gruppi di Acquisto Solidale), che scelgono di non sottostare alle regole e ai prezzi della grande distribuzione: Barikamà, rete Fuori Mercato, SOSRosarno, Sfruttazero.

Le storie raccontate sono di quelle che non vorremmo mai conoscere (ma dovremmo), di uomini che lavorano senza sosta intere giornate sotto il sole per pochi spiccioli, a volte scalzi e senza bere; e la sera rientrano nelle fabbriche abbandonate dove hanno improvvisato un giaciglio; donne violentate sotto le serre, tra i filari dei pomodori; bacini di manodopera schiavizzata nei Centri di accoglienza per richiedenti asilo; lavoratori della logistica, nel ricco nord est, schiavi del lavoro interinale.

Dagli anni ’90, quando la rivista Life pubblicò una foto di bambini pakistani che cucivano i palloni per la Nike e la questione era lontana quanto i paesi del terzo mondo, si arriva oggi alle campagne e ai centri di stoccaggio delle nostre province.

Che ruolo gioca in tutto questo lo Stato? Un ruolo enorme secondo Antonello Mangano; uno Stato che da un lato combatte il caporalato e dall’altra ne crea le condizioni, con un machiavellico sistema di permessi di soggiorno legato a contratti di lavoro, favorendo meccanismi di ricattabilità, fino ai centri di accoglienza dove restano per anni. Fino al «decreto sicurezza» che, azzerando la protezione umanitaria, trasforma persone in fantasmi. Uno Stato che si fa rarefatto, sostituito dalla centralità assoluta del profitto d’impresa, senza più il contrappeso di quegli organi intermedi come i sindacati. E proprio la politica, secondo Antonello Mangano, deve essere promotrice del cambiamento, con la trasparenza nelle etichette dei prodotti: tracciabilità dell’intera filiera e scomposizione del prezzo.

Oltre a creare una base sociale solida: reddito minimo europeo, perché in un mercato globalizzato non si può ragionare solo sul proprio orticello, e un documento a tutti coloro che si trovano sul suolo italiano. Ma il cambiamento ha bisogno di una spinta anche dal basso, anche attraverso i Gas.

«Oggi assistiamo alla fuga del datore di lavoro» commenta l’avvocato del lavoro Bartolo Mancuso, in un incontro tra lo scrittore e i protagonisti dei GAS Barikamà e Rete Fuori Mercato, avvenuto nei primi di luglio al centro sociale «Scup!» di Roma: «I lavoratori spesso scoprono di essere stati assunti tramite cooperative e società appaltanti di manodopera. Dallo smantellamento della legge che proibiva la prestazione di manodopera, secondo l’assunto che si possono vendere le scarpe, non le persone, le agenzie di assunzione, le cooperative e il lavoro interinale hanno creato un sistema di sfruttamento dei lavoratori legalizzato».

Lo sfruttamento che parte dalle campagne italiane fino ai carrelli del supermercato sotto casa, per poi per arrivare sulle nostre tavole, nel nostro piatto.