L’immaginario letterario, la scrittura autobiografica, il reportage narrativo raccontano le trasformazioni del lavoro in atto nella società. La narrativa di tanti romanzi e racconti d’autrice degli anni Duemila rappresenta vite di personaggi contemporanei la cui esistenza è completamente assorbita e scandita dal lavoro e assume un senso oppure lo perde attraverso la dimensione lavorativa. Si configura la prospettiva della narrativa d’esistenza, nel genere realistico e storico soprattutto, in cui il soggetto ricorrente consiste nei percorsi esistenziali che vengono messi a tema all’interno di un sistema economico pervasivo, che tiene in ostaggio la politica e condiziona le relazioni sociali. Il racconto dei destini di personaggi e personagge diventa spesso una narrazione resistente all’assimilazione, allo sfruttamento, alla fatica del vivere nella società italiana connessa al sistema globale.

LA CONSAPEVOLEZZA poi di alcune protagoniste, di essere parte di un sistema economico che consuma valore e crea povertà e disuguaglianza, si snoda in racconti che mettono il lavoro in luce critica e talvolta suggeriscono soluzioni esistenziali di dignità. Tante autrici, tra cui Simona Vinci, Chiara Ingrao, Melania Mazzucco, Michela Murgia, Valeria Parrella, Rossana Rossanda, Elena Ferrante, Paola Mastrocola, Chiara Gamberale, Emanuela Canepa, Helena Janeczek, Anna Premoli, scrivono scenari lavorativi quali spazi di libertà quanto luoghi di conflitto; scrivono di complicità e di estraneità rispetto alle logiche dell’economia post-fordista patriarcale; scrivono la persistenza del lavoro domestico, i tranelli del lavoro esterno e l’ambiguità che emancipazione e liberazione attraverso il lavoro hanno costruito; scrivono della femminilizzazione del lavoro e delle contraddizioni che caratterizzano il modo in cui le donne sono state e stanno, tra necessità e desiderio, nelle trasformazioni del lavoro, da fattore perturbante a trappola dell’emancipazione.
Nella storia delle donne, il lavoro, con le sue differenti declinazioni, è centrale nel complesso intreccio tra costruzione di soggettività, riconoscimento di professionalità come elemento identitario e questione produzione/riproduzione. Delineare a ritroso nel Novecento, rileggendo Luce D’Eramo, Bibi Tomasi, Goliarda Sapienza, Alice Ceresa, Anna Banti, Alba de Céspedes, Paola Masino, Sibilla Aleramo, le genealogie di prospettive, di sguardo, di pratiche che le narrazioni degli anni Duemila propongono, significa riconoscere, tra scelte adattative e scelte resistenti, quali poetiche politiche siano presenti nell’immaginario letterario d’autrice. Significa riconoscere se i fatti letterari raccontino storie e protagoniste capaci di essere spunti di critica e di interpretazione della realtà, di decostruzione delle narrazioni dominanti, nella problematica relazione con la costruzione sociale del genere, con la ridefinizione dei conflitti di classe, con le nuove e rinnovate forme di violenza contro le donne che il biocapitalismo contribuisce a globalizzare. Ancora, se suggeriscano antidoti, nelle figurazioni della differenza femminile, intesa quale campo di forze trasformative e perturbative, all’azione dell’algoritmo economico in cui siamo fattori di calcolo, articolando un discorso politico dissenziente.

GLI SPUNTI di critica femminista, da Luce Irigaray a Rosi Braidotti, le analisi sulla condizione lavorativa femminile di Cristina Morini, gli assunti di teoria economica da Vandana Shiva a Daniel Cohen, da Saskia Sassen a Mariana Mazzucato a David Pilling consentono di leggere nell’immaginario letterario gli esiti di un capitalismo predatorio e di un’economia finanziarizzata in uno scenario composito, tra precarietà e nuovi lavori.
Le trasformazioni prevalenti risultano il superamento della distinzione tra lavoro materiale e immateriale, in termini concettuali e retributivi; l’emancipazione femminile quale dato acquisito, per cui il lavoro è l’ambito in cui donne e uomini si conoscono, si confrontano, in cui rinegoziano i rapporti di forza; la femminilizzazione del lavoro, ossia l’introduzione nel processo lavorativo di elementi come l’affetto, il desiderio, la disponibilità, la cura, che costituiscono tradizionalmente il lavoro di casalinga, non pagato, deregolamentato e sfruttato che è diventato modello di precarietà e di povertà del lavoro contemporaneo in altri ambiti e salariato quando affidato a figure esterne alla famiglia. Questo aspetto, fra diritti del lavoro e diritti di cittadinanza, insieme al biolavoro, in cui il corpo femminile è messo in produzione nel lavoro riproduttivo, esternalizzato e retribuito, sono passaggi nodali negli attuali discorsi sui lavori, nelle relazioni fra le donne di provenienza, esperienza, condizione sociale differenti e nelle riflessioni femministe.

*

IL PROGRAMMA DELLE TRE GIORNATE

Dagli anni Sessanta alla contemporaneità: ecco l’arco temporale entro cui la Società italiana delle Letterate si muoverà per esplorare la rappresentazione del lavoro e dei lavori. Precarietà, derive identitarie, capitalismo, corpi sessuati e situati: di questo e molto altro si parlerà a Venezia da venerdì 13 a domenica 15 negli spazi della Wake Forest University. Attraverso la letteratura, la poesia e le arti visive, insieme a Lidia Curti e Cristina Bracchi, ci saranno: Luisa Ricaldone, Francesca Maffioli, Laura Marzi, Sarah Perruccio, Giulia Simi, Laura Marzi, Cristina Giudice, Loredana Magazzeni. Poi Laura Fortini in dialogo con Laura Pugno, Laura Graziano, Maria Grazia Calandrone, Gabriella Musetti, Bianca Tarozzi, Leila Falà, Nadia Agustoni. E ancora Magda Bianco, Linda Laura Sabbadini, Anna Maria Crispino, Annarosa Buttarelli, Monica Luongo e altre. Il programma sul sito www.societadelleletterate.it