Un uomo in preda al «suo delirio di onnipotenza e socialmente pericoloso». A Mimmo Lucano, per questo, «non può essere consentito di ricoprire cariche pubbliche e di gestire denaro pubblico». È solo una parte di quel che si legge nella ponderosa ordinanza del Giudice del Riesame di Reggio, datata 16 ottobre.

Il sindaco, ormai sospeso, di Riace si era rivolto al Tribunale della Libertà impugnando il provvedimento coercitivo che gli aveva imposto il Gip di Locri con l’inchiesta Xenia, sulla gestione dei progetti di accoglienza nel borgo della Locride. Il giudice del Riesame, Tommasina Cotroneo, nei confronti di Lucano ha riformato gli arresti domiciliari nel divieto di dimora a Riace.

Nelle oltre 150 pagine delle motivazioni viene spiegata la ratio del provvedimento di riforma. E si ha la conferma di ciò che a caldo era apparso chiaro a tutti ovvero che il divieto di dimora era nei fatti una pena più afflittiva nei confronti dell’indagato. Perché il quadro delineato è a tinte ancor più fosche di quello conosciuto sinora. La dottoressa Cotroneo, già consigliera di Corte d’Appello a Reggio, componente della Giunta esecutiva centrale dell’Anm, iscritta alla corrente centrista dell’Unicost (la stessa di Carmelo Zuccaro, il procuratore di Catania della crociata anti Ong, che ha chiesto l’archiviazione per Salvini sul caso Diciotti) su Lucano e il “modello Riace” calca decisamente la mano. E con argomentazioni a volte politiche e con giudizi di valore metagiuridici.

La giudice sviscera l’ordinanza impugnata e, di conseguenza, le contestazioni nei confronti di Lucano, cioè l’affidamento fraudolento della raccolta rifiuti e i matrimoni di convenienza per favorire l’immigrazione clandestina. Relativamente alla prima ipotesi, gli elementi di prova – secondo il Riesame – delineano chiaramente a carico di Lucano «un grave compendio indiziario che fa emergere la mala gestio e la distrazione indebita di denaro pubblico. Lucano controllore di se stesso in un evidente sostanziale conflitto di interessi». L’altra contestazione riguarda i «matrimoni di convenienza». Lucano, anche in questo caso avrebbe agito – a detta della giudice – con «particolare spregiudicatezza nonostante il ruolo istituzionale rivestito. Azioni che troverebbero riscontro in tutta una serie di intercettazioni di sconcertante e straordinaria chiarezza». Lucano «si divertiva» a violare la legge, definendola «stupida» e «piegando pericolosamente la sua funzione ai suoi progetti asseritamente sempre umanitari, noncurante dei potenziali pericoli anche per la sicurezza pubblica». I buoni propositi sarebbero stati annacquati e sporcati nel tempo «da una opaca gestione, da mille violazioni di legge e da una volontà sempre più forte e incontenibile di dare l’immagine al mondo esterno di un modello di integrazione e di salvarne ed esportarne le fattezze esteriori a tutti i costi».

In tutto questo non mancherebbe «il tornaconto politico-elettorale del Lucano che in più di una occasione fa la conta dei voti che gli sarebbero derivati dalle persone impiegate presso le associazioni e destinatarie di borse lavoro e prestazioni occasionali. E con callida freddezza, una volta appurato di essere oggetto di indagini giudiziarie oltre che amministrative, progettava la sua candidatura alle politiche come capolista al fine di arginare l’azione giudiziaria nei suoi confronti». Di questa candidatura, a tre anni dall’inizio delle indagini, non vi è traccia. E Lucano ha più volte negato la volontà di scendere in politica. Ma questo la giudice non lo scrive.