Prima di Sergio Mattarella, nessun giudice costituzionale era mai stato eletto presidente della Repubblica e un solo presidente della Repubblica era diventato – anni dopo aver concluso il mandato – giudice costituzionale. Enrico De Nicola, primo capo dello Stato eletto dall’assemblea costituente, fu brevemente presidente della prima Corte costituzionale tra il 1956 e il ’57. Ma c’è adesso un altro giudice che potrebbe essere chiamato ad attraversare i cinquanta metri che separano il palazzo della Consulta dal palazzo del Quirinale. Il nome di Giuliano Amato resiste nella lista dei candidati al Colle con più chance.

Una settimana fa Mario Draghi ha reso trasparente il suo desiderio di salire alla presidenza della Repubblica. Ha incontrato però una diffusa ostilità nella maggioranza, probabilmente più forte di quella che lui stesso si aspettava quando ha detto che senza accordo sul Quirinale anche il governo e la legislatura sono a rischio. È ripartita così la ricerca di una soluzione in grado di tenere insieme la continuità di governo con le aspirazioni dell’attuale presidente del Consiglio. Lo schema più semplice per rispondere a questa doppia esigenza è la conferma degli incarichi. Mattarella al Quirinale, Draghi a palazzo Chigi ancora fino alle prossime elezioni. Poi la promozione del presidente del Consiglio. Ragioni pratiche ma anche esigenze formali spingono per questa soluzione. Tra le prime la onnipresente pandemia, che ha già prodotto un prolungamento dello stato di emergenza e che a metà gennaio – proprio quando si comincerà a votare il nuovo presidente della Repubblica – porterà i contagi a un livello tale da non consentire distrazioni nell’azione di governo. Tra le seconde il fatto che il collegio dei grandi elettori che si appresta a eleggere il prossimo capo dello Stato, nel 2023 cambierà profondamente, passando da oltre mille componenti a poco più di seicento per effetto della riduzione dei parlamentari. La novità potrebbe giustificare un mandato presidenziale breve, tale da consentire a un nuovo collegio di scegliere il capo dello stato per i successivi sette anni. Ma Sergio Mattarella non è disponibile. Cederebbe di fronte alla richiesta di un mandato bis che le forze politiche, incapaci di trovare un’altra soluzione, dovessero rivolgergli? Amato è la carta di chi non pensa che il capo dello Stato possa cambiare idea. Per ragioni anagrafiche, l’anno prossimo compirà 84 anni, due più di Mattarella, anche il suo potrebbe essere un mandato breve.

Amato non sta fermo. La sua campagna elettorale per il Colle è fatta di incontri che si sono intensificati. Privati ma anche pubblici. Negli ultimi giorni ha partecipato a due conferenze, nella prima era ospite dell’ex presidente del Consiglio di Stato e nuovo giudice costituzionale Patroni Griffi, nella seconda del direttore degli affari politici del ministero degli esteri. Probabilmente Amato è l’unico tra i candidati in lizza che può contare su sostenitori in tutti i partiti. Persino nei 5 Stelle. Con Luigi Di Maio ha infatti una consuetudine fatta di incontri nella sede della Treccani (Amato è stato presidente dell’Istituto). Il ministro degli esteri ha approfittato dei consigli che una personalità dell’esperienza di Amato ha potuto dargli. Se le votazioni per il nuovo capo dello Stato dovessero prolungarsi – il che è quasi certo in mancanza di accordo su Draghi – , a vantaggio di Amato c’è il fatto che tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio è destinato a essere eletto presidente della Corte costituzionale. Il che ne rafforzerebbe il profilo di garante. Infine, il suo posto alla guida della Corte andrebbe certamente a una giudice donna, il che coprirebbe un po’ la delusione per la conferma di due uomini al Quirinale e a palazzo Chigi. Ma anche Amato, come Draghi, nel caso fosse eletto al Colle si troverebbe di fonte all’imbarazzante circostanza di dover subito indicare il suo successore. Nel caso di Draghi si tratterebbe di dare l’incarico per la formazione del governo. Nel caso di Amato di scegliere un o una giudice per sostituirlo alla Corte.