Che ne sarà della nostra capacità di librarci oltre le tentazioni disciplinari, di vibrare tra gli interstizi dei compartimenti stagni, di veleggiare sempre avanti e oltre ogni categoria se ci lasciano anche gli «anti-maestri» che hanno fatto la rivoluzione creativa del ’77 come Giacomo Verde, spentosi a 64 anni nella notte tra il 1° e il 2 maggio? Il suo mantra degli ultimi mesi era «la vita è un formaggio» perché spesso basta un assaggio ed è buono anche se è fuso.

MALATO da tempo, senza rinunciare neppure per un istante a creare e sostenere progetti e battaglie proprie e altrui, Verde è stato davvero quel che si dice un «pioniere» del video e delle multiformi applicazioni artistiche del digitale che sapeva plasmare tramutandolo in arte come in poesia; e usare al contempo come mezzo di espressione civile e persino di contro-informazione. Si pensi ad alcune delle tappe più significative del suo lungo sodalizio col poeta e «fratello» Lello Voce, per le cui performance creava video-fondali dal vivo, e che a Genova nel 2001 era con lui nei giorni delle manifestazioni del movimento anti-G8.

Giacomo con la videocamera, Lello con un piccolo registratore: sottrarre immagini, suoni e pensieri all’oblio, per dare un contributo al movimento e per cercare di capire cosa stava accadendo anche se «sembrava di assistere a qualcosa di comunque già visto». Ne nacque Solo limoni film legato alla tradizione del cinema e del video militante tanto nella forma, capace di documentare alcuni momenti di quelle giornate smarcandosi dalla comunicazione-spettacolo, quanto nelle modalità distributive con cui girò l’Italia nell’immediato indomani di quelle giornate. Oggi il film è disponibile in rete; all’epoca, quando veniva presentato con l’omonima antologia poetica di testi raccolti da Lello Voce in librerie, università, circoli, associazioni, centri sociali, Solo limoni era un oggetto relazionale che offriva la possibilità di discutere e condividere con sguardo critico e poetico l’esperienza di un trauma collettivo.

Verde era nato a Cimitile in provincia di Napoli e cresciuto a Empoli. Ispirato dalle sperimentazioni di Giuliano Scabia e folgorato dal Living Theatre, dagli anni Settanta si occupava di teatro e arti visive ma, insofferente a ogni mistica, maniera e mania di protagonismo dei teatranti, aveva sviluppato una pratica per fornire risposte collettive e linguisticamente ibride alla necessità antropologica di rappresentazione. Aveva finito per chiamarla «arte ultrascenica» e la concepiva come possibilità creativa di superamento del teatro a partire dal teatro stesso.

TRA I PRIMI a coniugare performance, video, computer grafica, televisione e net-art, fece del video uno strumento di guerrilla creativa e s’inventò il «tele-racconto», ovvero una forma d’arte che intrecciava narrazione, disegni e immagini realizzate dal vivo o no con una videocamera a mano e poi proiettate su uno o più schermi in spazi ogni volta diversi, dai borghi medioevali alle sale da spettacolo.

IN UN’INTERVISTA sul blog dialoghiresistenti chiariva: «Il video non è la televisione. E lo spazio teatrale può mostrare come il video possa essere altro dalla televisione. Nel teatro si possono svelare gli inganni e i giochi percettivi della macchina-video. Di-mostrando che quello che passa attraverso le antenne è solo una parte (e non sempre la migliore) di quello che si potrebbe fare con gli schermi e le videocamere. Per questo ho iniziato ad utilizzare il video in teatro. Pensando prima di tutto ai bambini.

Che sono nella fase di sperimentazione e creazione dei codici di riconoscimento del mondo in cui vivono». «Techno artista cyberpunk» dalle mille incarnazioni e collaborazioni, ha operato tutta la vita per creare connessioni tra persone, forme e linguaggi convinto che nessun medium potesse essere cattivo di per sé ma anzi ispirato da uno spirito ludico e curioso alla scoperta del nuovo e del possibile.

Aveva coniato i termini «artivista» e «tecnoartivista» e nel 2007 aveva raccolto interventi e riflessioni in un volume intitolato Artivismo tecnologico. Scritti e interviste su arte, politica, teatro e tecnologia (BFS – Biblioteca Franco Serantini, con prefazione di Antonio Caronia). Nel 2018, invece, Silvana Vassallo gli aveva dedicato la prima monografia: Giacomo Verde – videoartivista (ETS).
Nel 2003 aveva realizzato i video-fondali-live per Elettra di e con Nanni Balestrini ed era tornato a collaborare nel 2012 con il poeta per il progetto Tristanoil esposto a Kassel per dOCUMENTA 13 e poi circolato in diversi spazi. Il film traduceva in video il principio combinatorio del romanzo Tristano di Balestrini con un’opera generata automaticamente dall’assemblamento aleatorio via computer di 120 clip da 10 minuti per una durata potenzialmente infinita. Un magma audiovisivo di stralci di testo e sequenze di distruzione planetaria bagnate nella viscosità del petrolio come principio di unitarietà visiva.

VERDE è stato anche docente all’Accademia di Torino, alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Roma Tre e all’Accademia di Carrara che sul suo sito sta raccogliendo una cyberbibliografia di omaggi. Sono ricordi e narrazioni tutte diverse, nessuno che ripeta le stesse tappe e le stesse imprese perché sono state tantissime in «una vita dedicata alla ricerca del bello e del giusto attraverso l’impegno nella cultura e nell’arte», come hanno scritto i compagni dell’Officina d’arte fotografica e contemporanea Dada Boom. Nel suo ultimo tele-racconto, Piccolo diario dei malanni, Giac ripercorreva con ironia e vis polemica le pagine di un taccuino da lui scritto e illustrato a partire dal 2012 a cavallo tra personale e collettivo.

Un percorso poetico attraverso talent show, proteste No Tav e viaggi di lavoro in cui l’esperienza del cancro irrompeva in tutta la sua tragica semplicità. Alla fine, il silenzio del diario lasciava posto a una danza techno-trance marocchina. Senza la sua immaginazione e capacità poetica sarà più difficile inventare da soli quel futuro di cui, come ripeteva nei suoi tweet, abbiamo bisogno.