La globalizzazione è stata spesso considerata come una sfida per i movimenti sociali progressisti. Nella sua dimensione economica, la globalizzazione è stata vista come accentuato dominio di mercati sempre più deregolamentati, con crescente potere del capitale finanziario e delle grandi multinazionali e decrescente capacità, invece, della politica di controllare questi processi. (…) Il rischio di una omologazione culturale- una macdonaldizzazione del mondo – è stato anche spesso paventato.

NONOSTANTE IL PESSIMISMO iniziale sulla capacità di resistere a queste tendenze negative, dagli anni 90 in poi, una ondata lunga e intensa di proteste ha contestato la globalizzazione neoliberista, ma anche promosso una «altra globalizzazione». (…) Se negli anni novanta le Organizzazioni governative internazionali erano viste come, allo stesso tempo, strumento della globalizzazione economica, attraverso politiche di liberalizzazione del commercio e dei movimenti di capitale, ed espressione di un tentativo di governare processi non più gestibili a livello nazionale, nel tempo si è accresciuta la critica sia alle politiche promosse che all’evidente «deficit di democrazia» che caratterizza organismi in massima parte non rappresentativi e poco trasparenti nel modo di funzionare.

IN PARTICOLARE, una opposizione è emersa contro le scelte neoliberiste delle così dette istituzioni finanziarie internazionali, dotate tra l’altro di forte potere coercitivo attraverso la distribuzione di sanzioni economiche. La globalizzazione non ha quindi solo comportato una semplice riduzione della capacità di intervento della politica rispetto alla economia, ma ha anche generato conflitti sovranazionali sulle politiche delle istituzioni internazionali, con esiti diversi nelle diverse organizzazioni e nei diversi campi di intervento.

Nati come campagne transnazionali di contestazione di trend politici globali ma anche di promozione di alternative, vari si sono sempre più frequentemente «messi in rete», dando vita a frequenti mobilitazioni transnazionali, dai contovertici, ai social forums, ai global days of action. Le varie dimensioni della globalizzazione hanno infatti favorito la formazione e la strutturazione di una «società civile globale». (…)

All’inizio del nuovo millennio sembrava dunque che la globalizzazione avesse fornito ai movimenti sociali nuove opportunità e risorse per influenzare una governance multilivello, con una convergenza tra attivisti e organizzazione non solo di differenti paesi ma anche di diverse culture politiche. Se la costruzione di un altro mondo possibile è ancora uno slogan attuale, la Grande Regressione ha portato però crescenti difficoltà nella costruzione di una globalizzazione dal basso.

NEL PIÙ LUNGO PERIODO, il neoliberismo ha indebolito molte di quelle organizzazioni di società civile, incluso i sindacati, che avevano fornito idee, ma anche risorse materiali e di influenza alle mobilitazioni transnazionali. Inoltre, la crisi ha colpito in modo selettivo, con diversa intensità e tempi diversi, diversi paesi e aree geopolitiche. Compreso all’interno dell’Europa, essa ha assunto caratteristiche differenti.

Se dappertutto la crisi economica ha creato diseguaglianze e scontento, le risposte politiche sono state differenziate con il crollo dei partiti di centro-sinistra bilanciato, in alcuni paesi, dall’emergere di alternative a sinistra. Soprattutto, il neoliberismo in crisi ha accentuato l’appello ad una competizione tra stati, con l’effetto di un riemergere di confini e conflitti tra gli stati all’interno degli stati. L’insicurezza ha generato una paura, abilmente incentivata da un populismo di destra sempre più rafforzato dalle stesse difficolta dei partiti di centro-destra.

QUESTE DIFFICOLTÀ sono visibili anche in Europa, dove l’integrazione sopranazionale appare più avanzata in particolare all’interno dell’Ue. Anche qui, infatti, il processo di transnazionalizzazione della protesta, che era sembrato un trend in rapido sviluppo, è stato rallentato, se non invertito.

Mentre nella loro stragrande maggioranza i movimenti progressisti mantengono una identità inclusiva, considerando le diversità una ricchezza, la crisi ha portato a una rarefazione delle occasioni di costruire rapporti in azione – nel corso cioè di mobilitazioni comuni. Le narrazioni cosmopolite non si nutrono più (o almeno, non si nutrono abbastanza) di rapporti di interazione in comuni campagne di protesta, che erano infatti state anche importante arene per lo sviluppo di conoscenza e progetti. Se certamente la crisi del neoliberismo non ha (ancora) prodotto una resistenza globale, ondate di mobilitazioni cross-nazionali – come i movimenti sui diritti di genere, i diritti dei migranti, la difesa dell’ambiente, i diritti dei lavoratori – stanno però riemengendo, con coordinamenti transnazionali che assumono forme ancora più orizzontali che in passato.

Talvolta effimere, sempre fluidi, queste mobilitazioni rappresentano occasioni preziose per riannodare in nodi di un’altra globalizzazione possibile, per generare nuove idee e, soprattutto, nuove relazioni indispensabili per costruire un altro mondo.

*Un’altra globalizzazione è possibile è il titolo della lectio che Donatella Della Porta terrà oggi alle 15.30 al Festival dell’Economia di Trento progettato dagli Editori Laterza con la direzione scientifica di Tito Boeri, è promosso dalla Provincia autonoma di Trento, dal Comune di Trento e dall’Università degli studi di Trento. www.festivaleconomia.eu