Non mi sembra sussistano le condizioni di fatto, né quelle di diritto, che possano giustificare la proroga dello stato d’emergenza. In base alla normativa vigente la deliberazione del Consiglio dei Ministri è subordinata al verificarsi di eventi calamitosi, ovvero nella loro imminenza, che devono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari (articoli 7 e 24 del decreto legislativo n. 1/2018). Ora, in via «di fatto», l’evento calamitoso (il ritorno della pandemia) rappresenta attualmente solo una previsione, incerta nell’an e nel quomodo. Si ricorda, a scanso di equivoci, che il termine «imminenza» utilizzato dalla norma deve essere assunto nel suo significato proprio e restrittivo di «fatto prossimo ed inevitabile», non dunque di «evento futuro e incerto». Questo tanto più nel caso di un’attribuzione di poteri straordinari.

Poteri che saranno utilizzati in deroga alle normali competenze, ritenendo che non sia possibile contrastare la situazione eccezionale con gli ordinari mezzi e poteri previsti dall’ordinamento giuridico. Ed è questo un secondo presupposto (“di diritto”) che, nella situazione nella quale ci troviamo, non è dato riscontrare. Il nostro ordinamento prevede disposizioni specifiche finalizzate a fronteggiare le emergenze sanitarie. Previsioni normative che forse erano insufficienti per fermare la pandemia nella fase più drammatica ed inaspettata, ma che ora, nella fase del contenimento e della convivenza con il virus, appaiono valide ed adeguate.
In primo luogo, l’articolo 32 della legge n. 883 del 1978 prevede che il Ministro della sanità possa emettere ordinanze contingibili e urgenti, in materia di sanità pubblica con efficacia estesa all’intero territorio nazionale o a parte di esso nel caso dovessero riscontrarsi nuovi focolai o recrudescenze epidemiche. Inoltre, la nostra Costituzione contiene due strumenti d’emergenza che possono garantire interventi immediati e coordinati assunti dall’intero Governo, ma che coinvolgono anche gli altri soggetti sovrani (il presidente della Repubblica e il Parlamento), per fronteggiare eventuali ulteriori straordinarie necessità che dovessero sopravvenire. Da un lato i decreti legge, dall’altro i poteri sostitutivi.

Con i primi si può garantire un intervento immediato dell’intero Governo per fronteggiare imprevedibili situazioni che si dovessero venire a determinare, atti che sarebbero emanati dal capo dello Stato e, successivamente, convertiti dal Parlamento, nonché soggetti al sindacato della Corte costituzionale. Con i secondi si assicurerebbe l’omogeneità e coerenza degli interventi emergenziali in tutto il territorio nazionale, evitando il rischio che ciascuna Regione ovvero Comune d’Italia possa assumere iniziative autonome e scoordinate. Un potere di “supremazia” decisivo per contrastare efficacemente una eventuale recrudescenza del virus, anch’esso soggetto tanto all’emanazione da parte del capo dello Stato quanto in via successiva al sindacato della Consulta.

Dato che questi strumenti sono da tempo previsti ci si potrebbe chiedere perché il 31 gennaio sia stato dichiarato lo stato d’emergenza attribuendo al Governo poteri ulteriori ed extrordinem. La risposta – che legittima quella decisione, ma che è anche alla base del rifiuto della proroga – è che allora la situazione era del tutto fuori controllo, ora non più. L’erompere imprevisto e drammatico della pandemia ha imposto un continuo monitoraggio da parte degli organi di governo della situazione sanitaria che ha portato all’emanazione di una successione serrata di decreti i quali hanno limitato le nostre libertà a salvaguardia della salute. Ha, inoltre, pesato la difficoltà di funzionamento del Parlamento che non era in grado di svolgere le sue ordinarie funzioni di controllo e direzione politica, oltre alla necessità di far prevalere in quel tragico contesto un solo centro di potere e un unico decisore.

È la paralisi del sistema che ha imposto lo “stato d’emergenza”. Ora, nel prossimo futuro, è possibile che ci si possa trovare di fronte a situazioni che richiedano interventi straordinari ed urgenti determinati dal riemergere di situazioni sanitarie critiche, in questi casi le “ordinarie” disposizioni indicate paiono più che sufficienti e le competenze costituzionali dei vari poteri devono essere assicurate. Se poi – dio non voglia – il riesplodere violento e incontrollato di una seconda ondata pandemica dovesse trascinarci in un nuovo stato di necessità, la riunione del Consiglio dei ministri per dichiarare lo stato d’emergenza – solo in quel momento giustificato – potrebbe essere convocato ad horas.

L’argomento che qualcuno ha utilizzato dell’opportunità di una “proroga cautelativa” proprio per assicurarci dalla eventualità futura ed incerta da ultimo richiamata appare di fatto infondata (la nuova dichiarazione potrebbe essere immediatamente assunta), ma soprattutto appare pericolosa dal punto di vista politico e culturale. Essa esprime la volontà di rendere perpetua l’emergenza. Oggi di fronte alla paura del virus, domani per governare in nome della paura.