«Molto tempo fa, la Terra era popolata solo da donne. Vivevano in pace, fino a quando un giorno una donna diede alla luce un bambino totalmente diverso da quelli nati finora: il suo corpo era malfatto, era rozzo e impacciato in tutto ciò che faceva tanto che creava problemi a tutti. Fece alcuni figli e poi morì. Questo fu l’avvento dell’uomo».
Sono queste alcune delle frasi che aprono il racconto Onna to onna no yo no naka (Il mondo delle donne e delle donne) di Izumi Suzuki, scrittrice, attrice e personaggio unico nella scena underground giapponese a cavallo fra gli anni settanta e ottanta del secolo scorso. Nata nella prefettura di Shizuoka nel 1949, Suzuki abbandona le scuole superiori per andare a lavorare negli uffici comunali del suo paese natale, Ito, ma una storia mandata ad un concorso letterario le dà una certa notorietà e decide quindi di cercare fortuna a Tokyo. Nella capitale, siamo agli inizi degli anni settanta, lavora come attrice in alcuni pink eiga, i film softcore giapponesi, usando lo pseudonimo Naomi Asaka, ma anche come modella, specialmente di nudi, con il famoso fotografo Nobuyoshi Araki, e barista in alcuni locali notturni.

SEMPRE NEI PRIMI ANNI del decennio appare anche nel capolavoro di Shuji Terayama Sho wo sute yo machi e de yo (Throw Away Your Books, Rally in the Streets) e Zeni geba, adattamento per il grande schermo dell’omonimo manga nichilista creato da George Akiyama.
Paradossalmente e per riflesso, la figura di donna ribelle e sessualmente liberata raggiunge un palcoscenico più ampio, quello mediatico dei giornali di gossip e delle televisioni generaliste, quando sposa, nel 1973, il famoso sassofonista d’avanguardia Kaoru Abe. La tribolata relazione amorosa finisce quattro anni più tardi quando, dopo la nascita di una figlia e vari avvenimenti fra cui l’amputazione di un alluce da parte di Suzuki, i due si separano. La burrascosa passione fra i due viene trasposta per il grande schermo nel 1995 da Koji Wakamatsu, con cui Suzuki aveva lavorato in alcuni film. Endless Waltz, questo il titolo del film, è tratto da un libro di Mayumi Inaba che romanza la relazione fra i due, fatto che provocò al tempo le ire della figlia della coppia che fece causa alla scrittrice. Nel 1978 Abe muore per overdose di sedativi e la tragedia dà il via, di fatto, ad un periodo in cui Suzuki si dedica quasi principalmente alla scrittura di racconti di fantascienza e di saggi che si conclude brutalmente nel 1986 quando la donna decide di togliersi la vita.

SE LE FOTOGRAFIE che ancora oggi si possono vedere in rete ci mostrano Izumi come una donna che non aveva paura di mostrare ed usare la sua femminilità, il suo fascino ed il suo corpo, e ancora, come si diceva, se la sua notorietà in patria come donna dalla vita sregolata e figlia degli anni sessanta-settanta, è dovuta specialmente alla sua relazione con Abe, solo in questi ultimi anni è emersa l’importanza della sua carriera come scrittrice. Il venticinquesimo anniversario della sua scomparsa è un’occasione che sia in patria che fuori dall’arcipelago è stata usata per far riscoprire i suoi racconti ed il ruolo di Suzuki nello sviluppo della fantascienza giapponese. In lingua inglese è da notare l’uscita di una raccolta di storie, Terminal Boredom, presso la casa editrice Verso Books, libro che mette insieme racconti scritti dagli inizi degli anni settanta fino alla sua morte, racconti con cui Suzuki esplora anche temi legati alla politica di genere, una delle prime voci giapponesi capace di fare ciò attraverso la fantascienza.

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