Terza edizione al Grand Palais di Paris Photo (14-17 novembre), la più antica fiera internazionale di fotografia (esiste dal 1996) che, sotto la direzione di Julien Frydman, ha inaugurato anche il primo appuntamento oltreoceano con Paris Photo Los Angeles nei Paramount Pictures Studios. Il rapporto con gli Stati Uniti è strettissimo: se la fotografia è nata in Francia intorno al 1826, i primi riconoscimenti del suo valore artistico arrivano a partire dalla prima metà del secolo scorso dagli americani con le gallerie dedicate alla fotografia (da Camera Work in poi), le grandi esposizioni museali, il collezionismo e il relativo mercato. Anche a Paris Photo le gallerie statunitensi (prevalentemente newyorkesi, tra cui le storiche Howard Greenberg, Pace/Macgill e Edwynn Houk, ma anche di Chicago e della West Coast: San Francisco, Los Angeles e Santa Monica) rappresentano un quinto delle 136 presenti, a cui si aggiungono i 28 editori e negozi specializzati in fotografia.
Tra le 28 new entry, invece, ci spostiamo in India (Tasveer) e in Sudamerica (Rolf Art e Vasari di Buenos Aires e Grafika La Estampa di Città del Messico), presenze significative nel monitoraggio del nuovo scenario della fotografia contemporanea. Sudamericano è anche Alejandro Cartagena (1977), autore del libro Suburbia Mexicana che nello stand di Grafika La Estampa espone il lavoro The car poolers (2012), un ritratto popolare del nordest del Messico attraverso la quotidianità degli operai che vanno al lavoro. Cartagena li fotografa a colori dall’alto (in senso fisico non solo metaforico) osservando le scene dai cavalcavia di una delle autostrade più trafficate del paese. Operai circondati dagli attrezzi che dormono nei pick-up, incorniciati all’interno delle strisce sull’asfalto che definiscono lo spazio visivo creando una sorta di cornice interna.
Agli abitanti di Città del Messico, soprattutto alle donne di Calle Cuauhtemocztin, Cartier-Bresson dedica parecchi scatti nel 1934 (molte foto firmate recano l’inconfondibile bordo nero), alcuni dei quali esposti dal londinese Eric Franck Fine Art accanto ai bianchi e neri di Graciela Iturbide datati ’78 e ’83. A Paris Photo la contemporaneità si confronta costantemente con il passato, ecco allora da Bruce Silverstein, New York una meravigliosa stampa ai pigmenti di Josef Sudek, Glasses and Eggs (1951) incentrata su trasparenza, perfezione geometrica e acqua e un omaggio dichiarato a Yves Klein: Ode to Yves (2006) della californiana Catherine Wagner (Luisotti Gallery, Santa Monica). Lisl Ponger, invece, in En Couleur (2007) propone una trasposizione della foto di Man Ray Noire et Blanche, sostituendo al volto di Kiki de Montparnasse un ovale femminile che tiene in mano al posto della maschera africana la copertina del National Geographic (ottobre 1983) che inquadra un volto tribale (Charim, Vienna).
Rimandi culturali, maschere che si mettono e si tolgono come nei ritratti di Juergen Teller nello stand di Suzanne Tarasieve, Parigi. Il fotografo di moda tedesco ha ritratto senza veli Charlotte Rampling e anche Vivienne Westwood, settantenne meravigliosamente provocante che ha contribuito alla nascita dello stile punk. Ancora moda e mode: Karen Knorr e Olivier Richon firmano insieme la serie in bianco e nero Punks (1976-77), il racconto di un’epoca all’insegna del «fuck off» o «destroy London».
A proposito di moda: un’altra interprete straordinaria è Sarah Moon con Monette pour commé des garçons (2007), in cui la figura femminile fuori fuoco emerge da un nero profondo con la sua carica di energia accennata dal rosso delle unghie laccate e delle labbra, nonché decisamente urlata dall’abito giallo. Ancora un riferimento cromatico: il bollino rosso accanto alla fotografia, venduta dalla galleria parigina Camera Obscura per 17.700 euro (tiratura limitata a 15 esemplari).
Avvolta nel giallo del lenzuolo la giovane Rose dorme, nella foto scattata da un maestro del colore come William Eggleston (Cheim & Read, New York). La foto intitolata Untitled (Rose Sleeping, Memphis, Tennessee) fa parte del portfolio Dust Bells I (1971) ed è stata stampata con il procedimento dye-transfer print, tecnica di stampa a colori permanenti con la possibilità di avere un maggiore controllo sui colori individuali rispetto ai procedimenti chimici.
Anche nello spazio di Mem di Tokyo il giallo invade un’intera parete, quella che contiene le 56 stampe di Sign/Yellow Mustard, parte del lavoro che Tomoko Sawada (Kobe, 1977) ha realizzato nel corso del 2012 durante una residenza all’Andy Warhol Museum di Pittsburgh. Altrettante foto fanno parte dell’altra serie Tomato ketchup. Un omaggio duplice quello della fotografa giapponese al padre della pop art e alla ditta Heinz, la più globale delle ditte americane di food, emblema stesso della città della Pennsylvania. Da «amarillo mostaza» a «mau vang mu tat», tante lingue diverse per esprimere uno stesso concetto: «giallo mostarda». La fotografia è lo strumento adatto per esplorare il confine tra la realtà e la sua rappresentazione.
Si parla di contraddizioni, di apparenti condivisioni che diventano limiti di incomunicabilità nel trittico M-eating, Red Table (2013) dell’italiana Maïmouna Patrizia Guerresi esposto nello stand di Tasveer. Due donne siedono allo stesso tavolo, coperto da una tovaglia rossa. La tavola, il cibo dovrebbero essere un momento di unione, condivisione, scambio. Se non fosse che queste due figure (entrambe indossano il boubou africano e hanno i capelli nascosti dal turbante giallo) non si guardano, una fissa il muro dietro di lei, l’altra – il cui volto è diviso a metà da una linea verticale bianca – ha lo sguardo perso nei suoi pensieri. Seducenti come rossetti, i bossoli verdi, azzurri, rossi, alcuni ancora da sparare e altri già usati, simbolo di una guerra non sempre dichiarata, infida.