L’arrivo nelle nostre sale di Le mille e una notte è due volte un evento. Intanto perché lo è il film di Miguel Gomes, nome di punta nel cinema d’autore contemporaneo che dalla sua prima proiezione, alla Quinzaine lo scorso festival di Cannes, ha conquistato la Croisette e poi il pubblico di moltissimi altri festival e paesi . Un «evento», appunto, imperdibile che ha caratterizzato la stagione cinematografica e, soprattutto, prodotto un bel terremoto negli immaginari.
E poi perché la distribuzione italiana di Le mille e una notte, affrontata con molta intraprendenza dal Milano Film Network, è una bellissima scommessa rispetto alla situazione impermeabile del nostro mercato, nel quale con sempre maggiore difficoltà arrivano le proposte che fanno discutere il resto del mondo. Per noi Le mille è una notte è diventato subito un prezioso riferimento teorico e di piaceri della visione, una lente attraverso la quale esplorare una relazione nuova, eccentrica, spiazzante e in profondità con il racconto del nostro tempo, la sua crisi, i suoi detour.

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In un anno che vede almeno qui in Italia l’esplosione mediatica del cinema della realtà (vedi l’orso d’oro a Fuocommare alla Berlinale), e la scoperta diffusa,quasi una nuova «moda»del documentario, il film di Gomes ci mostra come la realtà affiora con prepotenza non nella sua semplice «registrazione» ma in una messinscena quasi surreale, della sua natura. Nei tre capitoli che compongono Le mille e una notte, Sherazade inanella storie al principe per salvare le fanciulle del regno dalla sua crudeltà.

Ma questi racconti immaginifici percorrono il Portogallo, l’Europa, negli anni della crisi economica, e delle spietate manovre di banche centrali e poteri forti europei che lo hanno gettato in miseria, e portano alle orecchie del sovrano le vite di uomini e di donne sospese in una fragile incertezza. Nei tre volumi che compongono il film – si possono anche vedere separatamente, l’esperienza migliore è passare da un capitolo all’altro a distanza di un giorno o due, come nei feuilletton di altri tempi, che sono peraltro almeno nella struttura una fonte di riferimento – la voce di Sherazade intreccia inquietudine, desolazione, incanto.

E nelle immagini – gesto d’amore in scope a 16 e 35 millimetri – reinventa la forma di un cinema politico, non semplice «copia» della realtà ma suo immaginario.