Sono ormai quattro anni di intense violenze nel lontano Ituri (65.658 km², più o meno come l’Irlanda) che hanno lasciato sul terreno quasi 1.000 morti e un milione e 100 mila sfollati ospitati nell’80% dei casi dalle comunità locali e nel restante 20% in 87 siti gestiti dalle agenzie internazionali (Unhcr e Iom). I cui budget sono limitati, di conseguenza gli aiuti scarseggiano e così le persone sono obbligate a muoversi alla ricerca del cibo sempre più vicino alle linee nemiche.

LE VIOLENZE SONO RIPRESE a 14 anni di relativa pace. Violenze che si susseguono senza che né l’esercito congolese, né i tentativi di disarmo e riconciliazione messi in atto a più riprese in questi anni abbiamo raggiunto la vera pace cercata.

Solo la scorsa settimana almeno 40 Hema sarebbero morti a seguito di un attacco da parte di giovani Lendu. Lendu agricoltori contro pastori Hema. Rivalità secolari che hanno portato a lottare per l’accesso alla terra e al potere locale. Secondo gli storici il potere coloniale belga aveva posizionato gli Hema più in alto rispetto ai Lendu di conseguenza gli Hema avrebbero acquisito sempre più vantaggi, in particolare l’accesso a posizioni nell’amministrazione.

Benefici che sarebbero proseguiti anche con l’indipendenza: agli Hema sarebbero andati i vantaggi della zaïrianisation (nazionalizzazione dei mezzi di produzione detenuti da stranieri dal 1973) promossa da Mobutu che avrebbe dato loro accesso a gran parte delle terre.

LE VIOLENZE ATTUALI sono attribuiti a una dozzina di milizie Lendu (la più pericolosa è denominata Codeco – Cooperative for the Development of the Congo) a cui si sarebbero, tuttavia, sovrapposti gruppi dall’adiacente Nord Kivu e dal confinante Uganda (come i ribelli delle Allied Democratic Forces).

I movimenti dei gruppi armati sono accompagnati da massicci spostamenti delle popolazioni dal Nord Kivu all’Ituri, in particolare un significativo esodo di Hutu migranti (localmente chiamati Banyabwisha). La presenza degli hutu alimenta ulteriormente le tensioni tra Hema e Lendu, che si accusano a vicenda di collaborare con loro. I Banyabwisha sono accusati di far parte delle Forces Démocratiques de Libération du Ruanda (Fdlr), ostili al governo ruandese e accusate da Kigali di ricevere il sostegno dell’Uganda. La connessione è che lo spostamento dei Banyabwisha significhi spostamento delle Fdlr dal Kivu all’Ituri.

DI CONSEGUENZA LE VIOLENZE nell’Ituri stanno esacerbando le tensioni tra Ruanda e Uganda. Entrambi i Paesi hanno svolto un ruolo importante nella guerra dell’Ituri (1999-2003), ma oggi si accusano a vicenda di sostenere gruppi armati nel Congo.

In Ituri nel 2019 si era anche recato il presidente Tshisekedi per dimostrare la sua volontà di porre fine a un conflitto e ha promosso l’operazione dell’esercito congololese Zaruba ya Ituri che non ha raggiunto finora i risultati auspicati

I Lendu stanno ammazzando gli Hema, che si difendono attraverso blocchi stradali e gruppi di autodifesa, ma i Lendu hanno armi. Fucili e munizioni che secondo minatori e contadini dell’area di Nisi da noi interpellati verrebbero forniti anche da militari della Monusco (Missione delle Nazioni unite per la stabilizzazione nella Repubblica democratica del Congo), che scambierebbero le armi con oro.

DALLA MONUSCO SMENTISCONO ogni addebito e per il governatore Jean Bamanisa (destituito il 13 aprile dall’assemblea attraverso una mozione di sfiducia) sono solo rumors, anche se in passato la Bbc aveva segnalato episodi analoghi. Vi sono poi armi che arrivano dallo stesso esercito congolese: nel vicino Kivu tre ufficiali e tre soldati delle forze armate sono stati arrestati. In un’abitazione privata affittata da uno degli arrestati sono state trovate 82 casse di munizioni provenienti del deposito della 32ma Brigata, delle quali non è stata chiarita la destinazione finale.

LE RICHIESTE DELLE MILIZIE Lendu ruotano attorno a due questioni principali: la restituzione della terra presa dagli Hema, e il rifiuto dello sfruttamento straniero delle risorse locali. Tuttavia, sostiene un religioso locale, la Codeco sarebbe «manipolata e strumentalizzata dalle compagnie petrolifere che bramano le riserve dell’Ituri». La pensa così anche Jason Stearns, direttore del Congo Research Group presso la New York University: «C’è un aspetto etnico, ma la crisi non è alimentata semplicemente da questo tipo di antagonismo».

Tutto troppo complicato da ricordare, troppi intrecci, latitudini lontane che al solo sentirne parlare gli occhi si chiudono, come per timore. Anche i cronisti si addormentano finché una telefonata non ti grida tunakimbia («Stiamo scappando») e l’Ituri non è lontano.