Le truppe di Damasco si sono posizionate ieri lungo il confine nord-orientale siriano, tra le città di Derik e Jawadiyeh. Estremo est del paese, lungo la frontiera con la Turchia, la zona è esterna alla safe zone regalata dalla Russia alla Turchia.

Intanto Mosca annunciava di aver assunto il controllo di una ex base americana a nord di Qamishlo, capitale del Rojava, lasciata vuota dopo il ritiro dei marines che ha aperto alla campagna militare turca contro i curdi siriani.

Campagna ancora in corso: Forze democratiche siriane e milizie islamiste filo-turche si combattono tra Serekaniye e Tel Temer e a Manbij. Il Rojava Information Center riporta di un aumento consistente di sfollati da Tel Temer verso Hasakeh: la città che per prima ha accolto la gente in fuga dal confine ora è nel mirino degli islamisti che stanno saccheggiando i villaggi intorno.

Washington è lontana anni luce. Con Putin che lo sostituisce e il presidente Trump che cambia idea ogni settimana, gli Stati uniti non sono mai apparsi così confusi. Tanto da bloccare al Senato la mozione che riconosceva il genocidio armeno, approvata dalla Camera con 405 voti bipartisan solo 20 giorni fa.

Lo richiedeva l’occasione: mercoledì il presidente turco Erdogan è stato accolto in pompa magna da Trump, dopo mesi ondivaghi di riavvicinamenti e gelo nei rapporti militari e commerciali. A ritirare la mozione per evitare imbarazzi al tycoon è stato il partito repubblicano.

Così Trump ha potuto dare una ricucita all’alleanza, a partire dalla promessa (non si sa quanto reale: un mese fa la Casa bianca sanzionava la Turchia dicendo di volerne distruggerne l’economia) di ampliare lo scambio commerciale: un accordo, ha detto il presidente Usa, che dai 20 miliardi attuali arrivi a «100, sarebbe fantastico per la Turchia e buono per noi».

A Trump l’accoglienza al «buon amico» Erdogan serve a evitare un travaso dalla Nato che in questi mesi ha preso la forma dei sistemi di difesa aerea S400 russi comprati dalla Turchia e il congelamento dell’acquisto degli F35 americani. Se ne è parlato, ma a spuntarla è Erdogan. Ieri, ormai lontano da Washington, ha detto: «Abbiamo rapporti bilaterali con la Russia, non possiamo mettere in pericolo le nostre relazioni strategiche».