Non ho mai avuto pazienza per scrivere un diario – non è del tutto vero, mi correggo: nel 2006 mi imposi di annotare i fatti principali che mi accadevano. Composero poi un libricino di centotrentuno pagine, pubblicato dalla casa editrice Skira di Milano con una certa grazia e un titolo derivato dalla mia infanzia, Un anno in meno, che era, se ricordo bene, quello adoperato da un giornalista del mio paese per la sua rubrica settimanale sul Diario della Marina, il più antico giornale pubblicato nell’intera America spagnola.

Quel che sempre ho potuto fare è compilare le agende. La prima risale al 1961 e la ebbi in regalo a Londra per il mio venticinquesimo anno. Era particolarmente graziosa, rilegata in marocchino rosso, con l’anno stampato in numeri dorati al quale era stato aggiunto il mio nome. Quello era il tipo più piccolo, che si metteva facilmente in tasca, e nel quale scrivevo molto di più, ma negli anni successivi preferii una versione un pochino più grande. Per un certo tempo comprai lo stesso modello in colori diversi, ma da anni sono passato al solo rosso e con la sola data in copertina. A misura che il tempo passa resta sempre più spazio libero. L’agenda dell’anno che finisce resta quasi vuota, come poi vedremo.

Apro ora l’agendina piccola: il primo giorno dell’anno 1961, una domenica, ero ad Assisi e avevo appuntamento con la signora Perkins per vedere la collezione formata da Frederick Mason Perkins. Viveva in una casa semplice ma non sgradevole in piazza del Vescovado dove si conservava la maggior parte della bella raccolta appartenuta a Perkins che, come scrivo nell’agenda, includeva tavole di Taddeo di Bartolo, di Pietro Lorenzetti, un bellissimo Lorenzo Monaco e, ragione principale della mia visita, un San Lorenzo su tavola di un curioso pittore di cui si ignorava allora il nome, il Maestro del Bambino Vispo.
Quell’artista era l’oggetto dei miei studi al momento, sotto la guida di Longhi a Firenze. Col tempo quel bizzarro pittore, che tradiva un che di spagnolesco, venne identificato come Gherardo Starnina, fiorentino, già documentato nel tardo Trecento. Longhi insisteva, così come Berenson e lo svedese Osvald Sirén, nel mettere in risalto il suo lato iberico, ragione che mi fece andare più volte in Spagna, soprattutto a Valenza e Toledo.

La vedova Perkins aveva un nome curioso, Irene Vavasour Elder, ma era inglese. Mason Perkins era invece americano, del 1874, e fu un grande specialista dei primitivi italiani. Da giovane era stato educato in Cina dai gesuiti nonostante i genitori fossero missionari protestanti. Continuò la propria educazione in Germania, poi passò in Italia dove conobbe benissimo Bernard Berenson, di cui divenne allievo. Molti anni sono passati e il primo di gennaio prossimo saranno esattamente sessant’anni che vidi tutto quel che restava di Perkins che, come l’attuale papa, mutò nome per divenire Francesco anzi, in inglese, Francis.

La signora Perkins è scomparsa anche lei ma i quadri sono ancora ad Assisi, nel Tesoro della Basilica di San Francesco. Nel 1988 apparve il volume di Federico Zeri dedicato alla raccolta di cui parliamo. Non tutti avevano giudicato allora con benevolenza quel che restava di quell’insieme, destando la critica di Zeri che scriveva «giudicare l’attività di un pioniere come il Perkins porta con sé la svalutazione della raccolta che è invece un prezioso documento di gusto, di preferenze, di selezione, con tutti i limiti che tali definizioni comportano». Non potrei dire di meglio. A me fu allora di grande utilità e non ho dimenticato nulla di quel viaggio giovanile che resta nella memoria fulgido e vivace.

Non posso dire lo stesso di quel che resta della mia agenda del 2020. Riguarda, è vero, un anno luttuoso e crudele, forse il peggiore della mia lunga vita. Comunque esiste un altro anno annus horribilis per me che per caso ebbe inizio il 1° gennaio1959, quando il dittatore Fulgencio Batista scappò da La Habana con le riserve auree statali. Io però non avevo allora una piccola agenda inglese e i miei ricordi fanno solo parte della memoria personale. Ovviamente non posso parlare di un ricordo storico ma delle giornate in cui capii che forse la mia vita sarebbe cambiata. Non sono infatti più tornato in quella remota isola né ho mai più visto la maggior parte della gente che allora erano i miei amici e la mia famiglia.