In principio fu Biancaneve. La fanciulla, chiusa in un bozzolo come dentro una lanterna magica, fece il botto, girò i festival di mezzo mondo e alla fine, felicemente attorniata dai nanetti, sfociò nel cult. Poi vennero i Shakespeare, uno più sorprendente dell’altro (Romeo e Giulietta, Sogno di una notte di mezza estate, Amleto), irruppe Pinocchio, si impennò sul suo destriero Giovanna d’Arco, dilagò potente l’Iliade al Festival di Spoleto 1988, echeggiarono le Metamorfosi di Kafka e Le troiane di Euripide fino alla Sheherazade mille e una notte dove la magia orientaleggiante della fiaba confliggeva con la violenza acuminata della cronaca. In tutto fanno 33 anni di creatività e una ininterrotta sequenza di trasfigurazioni. Modulazioni. Labirinti.

Lo spazio immaginifico del Teatro del Carretto, la compagnia nata a Lucca nel 1983 dall’incontro fra la regista drammaturga Maria Grazia Cipriani e lo scenografo costumista Graziano Gregori, raccoglie ora i tratti più significativi del suo percorso artistico e li dispone, luminose punteggiature mimetiche, in uno spazio urbano da poco restaurato, la Casermetta San Martino, austero edificio in via Buiamonti, lungo la passeggiata pedonale delle mura. Qui i 33 anni del Carretto rivivono nella mostra Le stanze del sogno (ingresso gratuito), titolo magrittiano che rinvia alla onirica forza e al clamoroso magnetismo degli allestimenti, un mix di rarefazione e affermazione, solidità e volatilità, gaiezza e crudeltà, che da sempre caratterizza il lavoro della compagnia.

Tra costumi, manichini, maschere, armature, scudi, lance, marionette, oggetti di scena, macchinerie fantastiche e fantastici spezzoni di scenografie, installazioni semoventi, il paese dei balocchi e i campi di battaglia, l’irridente Pinocchio e lo smarrito Amleto, in un raffinato gioco di luci e un ondivago tappeto di suoni e rumori in sottofondo, emerge il potere evocativo di un teatro che ha saputo legare l’impianto drammatico della parola con la seducente concretezza delle immagini. «In questa mostra – osserva Maria Grazia Cipriani – c’è condensata, in otto stazioni dal valore simbolico, un po’ tutta la nostra storia, i progetti e i materiali.

Da sempre conserviamo ogni cosa, nessun oggetto di scena è mai stato buttato. Certo negli anni qualcuno lo abbiamo perso ma solo perché c’è stato rubato. Ci vorrebbe uno spazio dieci volte più grande di questo per ospitarli tutti. Ciò non vuol dire che siamo insoddisfatti. Anzi. Questa mostra rappresenta il coronamento di un sogno che accarezzavamo da anni: emozionare i visitatori esattamente come accade a noi, che viviamo ogni giorno i nostri spettacoli come fosse la prima volta».

La mostra dopo un periodo temporaneo di chiusura per alcuni lavori di ristrutturazione, riaprirà al pubblico dal 15 dicembre all’8 gennaio.