All’interno del grande territorio dei Classical Reception Studies è assai difficile isolare le ramificazioni disciplinari e metodologiche messe in atto nella ricerca, ma ancora più fallimentare appare talvolta il tentativo di uniformare la direzione dello studio senza che il risultato sia un impoverimento, o peggio, una arbitraria selezione di ciò che completa la ricezione e la trasmissione di un classico. Il volume miscellaneo Ovid’s Metamorphoses in Twentieth-Century Italian Literature a cura di Alberto Comparini (Universitätsverlag Winter, Heidelberg, pp. 362, euro 64,00) sembra coraggiosamente rispondere, prima ancora che alla domanda riguardante l’autore latino, all’esigenza di una pluralità di approcci e di argomentazioni che possano ampliare lo spettro delle tracce percorribili per l’analisi della ricezione di un singolo autore. Il fatto che l’argomento in questione siano Ovidio e le sue Metamorfosi, un’opera che strutturalmente e criticamente si lega all’idea della molteplicità di temi e racconti, crea un cortocircuito interessante con i diversi contributi presenti nel volume.
La lettura procede in sei sezioni approfondendo alcuni autori, in ordine cronologico, della letteratura italiana del Novecento, secolo oltretutto notoriamente associato, per diverse ragioni, alla fortuna di Virgilio. Se il contributo di Sergio Casali, in apertura, fornisce una preziosa chiave storica entro cui collocare le tracce di un significativo interessamento degli studi a Ovidio, quello di Francesca Irene Sensini affronta invece, con un approccio filologico e storico insieme, il nesso tra Pascoli e il poeta latino con una problematicità che contrassegna anche i successivi saggi. L’indiscussa circolazione dei testi ovidiani in Italia fa pensare che essi siano stati a buon diritto modelli più o meno espliciti per la letteratura italiana, cosa che implica un’indagine, ben condotta nel volume, che trascende la mera ed esplicita linea dell’intertestualità e procede per vie di allusioni anche metatestuali e metanarrative. Raffaella Bertazzoli e Massimo Colellla esplorano rispettivamente il legame di Ovidio con D’Annunzio e Montale mettendone in risalto anche le reciproche differenze: se il processo di metamorfosi è in D’Annunzio un lento coinvolgimento dell’Io poetico stesso in una dinamica di trasformazione, per Montale si procede invece per condensazione ed evocazione di tale processo in sé poiché è la condizione liminare, più che il confine stesso tra i due stati raggiunti, a determinare una simbologia di rapida acquisizione della conoscenza umana da cui nasce, in un secondo momento, la ricreazione di una personale mitologia tra i personaggi montaliani.
Se i miti, come nucleo di tutte le Metamorfosi, possiedono la caratteristica di una costante generazione di archetipi, la quarta sezione del testo esplora la ricezione di Ovidio tra Modernismo, Magismo e Surrealismo in autori quali Bontempelli, Savinio e Landolfi non solo evidenziando il repertorio mitologico di riferimento, ma anche isolando gli elementi di innovazione vòlti a riscrivere e ricreare più in generale un classicismo che si opponga o si affianchi al precedente. Si procede attraverso un livello di ricezione più sottile laddove le mutatae formae ovidiane e, nello specifico, quelle vegetali, per autori come Carlo Levi, Cesare Pavese, Anna Maria Ortese, possono sì rappresentare un modello tematico forte ma, insieme, un richiamo all’idea sottesa alla metamorfosi stessa: una più alta comunanza tra gli esseri viventi, un annullamento delle gerarchie tra tutte le specie in netta continuità, come in continuità è il flusso narrativo che le accoglie, e che consente quindi di aprire in questi autori un dialogo tra ciò che è umano e ciò che non lo è o, ancora più approfonditamente, di mettere in discussione esattamente la categoria stessa di uomo/autore nel suo agire all’interno dell’opera.
Con un punto di ripresa sempre più centrifugo si passa quindi ad autori il cui interesse per Ovidio si concentra in modo più pregnante sul livello metanarrativo. In Gadda, secondo lo studio di Barbara Olla, la concatenazione di più miti delle Metamorfosi, unita alla «ideologia dell’irrisione» verso il presente, si fa strumento eziologico proiettato non verso il fenomenico, ma verso la natura dinamica dell’essere, la sua psicologia. Ancora più ampio sembra invece il binomio che lega Calvino a Ovidio illustrato da Alberto Comparini laddove il flusso mitico che rigenera se stesso nell’opera latina diventa schema narrativo con cui reagire al realismo e tentare, in particolare con le Cosmicomiche, di razionalizzare la complessità del reale senza che per questo vi sia un irrigidimento delle storie che, come talee, si nutrono di una metamorfosi intrinseca alla stessa materia narrativa. Ed è a tale complessità che fa fronte anche la risposta di Tabucchi illustrata da Pietrosanti: il mito scarnificato e ridotto a mitologemi è usato come piattaforma per «aprire nuove finestre su storie già compiute» in un effetto labirintico in cui sembrerebbe protagonista il racconto che ripensa se stesso.
Il volume si chiude, infine, con una panoramica ovidiana nello scenario della poesia contemporanea a cura di Alessandro Fo, in cui emerge una lettura del classico che tenta di connettere numerosi poeti tra cui Elio Andriuoli, Pier Luigi Bacchini, Attilio Bertolucci, Margherita Guidacci con scenari di prosa e poesia al di fuori dell’Italia come Brodskij, Gelman, Hardy, Edgar Lee Masters e Verlaine quasi aprendo nuovamente il cerchio alla successiva pista d’indagine a livello comparatistico.
Se il carmen perpetuum di Ovidio è effettivamente tale, il libro ha il pregio di illuminare non solo singole tracce di questa persistenza, evidenziandone le specifiche traiettorie; ma tenta anche di offrire un quadro storico che, per diversi generi, accomunerebbe la ricezione di Ovidio nella letteratura italiana del Novecento.