È stato davvero un bel ribollire. Come sempre, quando si ha che fare con gli Heliocentrics. Il concerto romano dell’ensemble londinese, ha messo in moto le consuete dosi di ritmiche luciferine, psichedelia informale e sonorità visionarie. È una delle qualità messe in mostra da questo folto gruppo di performers. Ci sono altre caratteristiche che hanno facilitato la riconoscibilità della loro cifra stilistica: la scioltezza con cui intorno al centro di gravità della batteria di Malcom Catto si agglomerano i contributi degli altri musicisti, come se l’improvvisazione servisse agli Heliocentrics per amalgamarsi meglio e far decollare lo spirito d’avventura.

E poi il fatto di aver scelto di trasformare la propria base in uno studio di registrazione (il Quatermass Sound Lab ad Hackney) dove sedimentare e sviluppare idee a tempo pieno; infine, la voglia di mettersi in gioco collaborando con veri e propri pesi massimi della cultura black: Mulatu Astake, pioniere dell’Ethio jazz, Lloyd Miller, jazzista, studioso e massimo esperto di musica medio-orientale, e Orlando Julius, padrino dell’Afro Soul, fino ad arrivare al recente album firmato insieme a Melvin Van Pebbles, il padre spirituale della Blaxploitation. Con A World of Masks, il disco in uscita a fine maggio, si è innescata un’altra sfida, quella di includere la voce. Operazione pericolosa e spericolata, difficilmente gestibile da un combo che si è sempre identificato nella pratica dei brani dilatati e delle dense strutture orchestrali. Eppure gli Heliocentrics hanno consapevolmente sperimentato questa opzione, trasformando, almeno questo era il loro progetto, un limite in un’occasione. «Lavorando con una cantante – rivela Malcom Catto – siamo riusciti a superare il nostro limite musicale nel lavorare su strutture. L’improvvisazione è un’influenza subliminale e prepotente per noi, ma il fatto di essere riusciti a coordinarla con l’approccio necessario a una composizione nella quale anche la voce è protagonista ci ha aperto possibilità inedite».

La cantante in questione è la giovane slovacca Barbora Patkova. Vocalist scelta con cura,perché capace di mantenere un profilo timbrico personale e allo stesso tempo di adattare la propria voce alla vis informale del gruppo.E se in qualche passaggio, ad esempio in Capital of Alone, fa un po’ specie sentire un gruppo che guardava ad Archie Shepp e ai Can ricordare ora nelle melodie vocali gruppi come i Working Week, in altri, come in The Wake, si intuisce che la nuova direzione potrebbe fruttare e in parte già frutta soluzioni fertili, da affiancare a quella che Catto definisce la voglia di «strutturarsi un po’ di più». Peraltro in questo primo tour con gli Heliocentrics la Patkova entra in scena dopo quasi mezzora di concerto. Nel frattempo la band ha già messo le cose in chiaro sfoderando il loro tipico disordinato lievito sonoro e mettendolo al servizio di pezzi importanti come The Silverback, Square Wave e Overdrive. Una raccolta che il gruppo ha deciso di presentare in anteprima dal vivo proprio nel nostro paese (tre date, Roma, Milano e Bologna): «L’Italia è da sempre la meta preferita dove suonare la nostra musica».

Il regalo degli Heliocentrics ai loro fan italiani aveva dunque a che fare con quasi due ore di ribollìo, condito da una voce femminile e da una serie di visual alle spalle votati alla psichedelia, al doping sensoriale e alla visionarietà cosmica. A proposito di quest’ultima, è toccato alla title track del nuovo album, A world of Masks, confermare le attitudini alchemiche dell’ensemble e allo stesso tempo far lievitare l’attesa per il lavoro sulla musica del più «cosmico» dei compositori insieme ad alcuni membri della sua orchestra. Un progetto su Sun Ra, cui a quanto pare gli Heliocentrics si stanno dedicando con urgenza: «Stiamo lavorando a questa cosa da molto tempo, sviluppando frequenti collaborazioni con Marshall Allen e Knoel Scott dell’Arkestra. Faremo ogni sforzo necessario perché questo possa accadere quanto prima».