Sono più di 100 le favelas nella lista delle rimozioni nella città di Rio de Janeiro. Questa lista è venuta fuori nella stessa settimana in cui Rio è stata scelta come sede dei megaeventi sportivi del 2014 (Mondiali di calcio) e del 2016 (Olimpiadi). La lista è stata compilata e diffusa dalla Segreteria Municipale della Casa di Rio. L’obiettivo era che le favelas fossero rimosse entro il 2012. Molte di loro hanno già patito il triste e brutale processo di sgombero, molte famiglie hanno perso le loro case, molte tra queste sono state indirizzate in zone molto lontane da dove abitavano, altre si sono sparpagliate, trovando ospitalità in casa di familiari.

La maggioranza delle favelas che sono nella lista ci sono state messe con la scusa che starebbero in aree a rischio per smottamenti o inondazioni, in aree di tutela ambientale o destinate a uso pubblico. In un’intervista che ho fatto nel maggio del 2010 a Guilherme Marques dell’Istituto di Ricerca e Pianificazione Urbana (Ippur) dell’Università Federale di Rio de Janeiro, per approfondire i problemi abitativi della città, è venuto fuori che questo concetto – che le favelas crescono in località a rischio – c’è sempre stato ed è soltanto una scusa per allontanare i poveri dalle zone abitate dai ricchi.

Anche il Cristo è «a rischio»

«Esiste un concetto di “area a rischio” che le persone ripetono ma che non approfondiscono. Il rischio che corrono i lavoratori non è solo legato al luogo in cui vivono. I lavoratori corrono sempre rischi, ogni giorno. E se c’è rischio, bisogna cercare di ridurlo e non mandar via i lavoratori. Tutta Rio de Janeiro vive in questa situazione di rischio. Nella strada che porta al Cristo Redentore ci sono stati 26 smottamenti nel 2010. Nessuno ha parlato di rimuovere il Cristo e le case che gli stanno intorno. La Piazza della Bandiera si allaga da anni, ma nessuno rimuoverà le attività commerciali da lì. Al contrario ci saranno migliorie in quella zona».

Ossia, quando si parla di rimozioni, non stiamo parlando dei rischi ma dei ricchi. Il problema sono i ricchi che abitano vicino a queste aree e vogliono che la zona si rivaluti. L’obiettivo è allontanare i poveri dalle loro vicinanze e questa è anche la politica del governo. Tutto ciò viene confermato dall’analisi della lista: si vede chiaramente, infatti, che molte delle favelas comprese in essa stanno in posti di grande interesse immobiliare, come per esempio la favela da Vila Autódromo, nella Zona Ovest di Rio.

Secondo il Comune di Rio più di 3.630 immobili nelle zone di Jacarepaguá, Madureira, Vicente de Carvalho e Brás de Pina spariranno per lasciare spazio alla costruzione della Transcarioca, una via esclusiva che collegherà la Barra da Tijuca a Penha. C’è inoltre la Transolimpica e la la Transovest, altre vie rapide che preparano la città alla Coppa del mondo di calcio e alle Olimpiadi.

Ma non è questo il solo tipo di rimozione che sta avvenendo a Rio. Nelle favelas oggi dominate dalla presenza della Upp (Unità di polizia pacificatrice), per esempio, esiste una forma di rimozione mascherata, una forma di rimozione che non sarà mai ufficialmente riconosciuta dallo stato. Quando in queste favelas arriva la Upp, arriva anche l’idea di «cittadinanza», come se noi abitanti delle favelas non fossimo considerati già cittadini. Ma quello che lo stato chiama «cittadinanza» è solo la legalizzazione della luce elettrica, la riscossione delle tasse, l’insediamento di banche, un maggiore investimento nelle Ong già attive nella zona, oltre a un’assurda valorizzazione del commercio non locale

In questo modo, in tutta la zona interessata c’è una crescita di prezzi, il terreno, il cibo, la luce, tutto aumenta visto che gli abitanti – pur non godendo del diritto ad avere abitazioni di qualità – sono obbligati comunque a pagare più tasse, a pagare bollette della luce altissime, per esempio. E questi abitanti, che nella maggior parte dei casi non guadagnano neanche un salario minimo, perché non hanno un lavoro e non hanno neanche un’educazione pubblica di qualità e mancano di diversi altri diritti di base, sono obbligati ad alzare i prezzi anche del commercio locale e non riescono più a pagare l’affitto o a tenersi la casa e finiscono per dover andar via dalla loro vecchia abitazione e cercare altre favelas e quartieri popolari più lontani dalla regione Centrale e dalla Zona Sud di Rio per andare a viverci.

Il falso discorso sulla sicurezza

Quindi, si tratta di un tipo di rimozione non ufficialmente annunciata, che deriva da un falso discorso sulla sicurezza pubblica.

Queste due forme di rimozione che sono oggi presenti nella «Città Meravigliosa» non avvengono per caso in Brasile e in particolare a Rio, sono un chiaro segnale che si collega alla mancanza di case. Rio è sempre stata segnata da grandi rimozioni forzate, da occupazioni e favelas che prendono fuoco senza nessun motivo. Questa volta, gli abitanti delle più di 100 favelas che sono nella lista delle rimozioni e alcuni che hanno già subito questo processo brutale sanno che questi “eventi” non sono casuali e che ci sono interessi dello stato e delle grandi imprese relativi alle aree in cui loro abitano.

Con tutta questa nuova storia delle rimozioni che stanno avvenendo da un po’ più di tre anni a Rio, si è ravvivato un movimento contro le rimozioni forzate, costituito da abitanti e difensori dei diritti umani. Oltre a questo, gli abitanti delle aree in cui è presente l’Upp sono anche loro entrati in questa lotta contro le differenti forme di rimozioni.

Per concludere, Guilherme Marques afferma che si devono rispettare le relazioni personali e familiari che esistono in queste favelas, perché il legami di fiducia tra vicini, senza prendere in considerazione la questione culturale, è ed è sempre stato molto grande.

«Se la rimozione è forzata – dice -, significa che non porta a un miglioramento delle condizioni della popolazione. Il governo deve dare come alternativa altri luoghi migliori per vivere e in questo modo le persone potrebbero scegliere se cambiare. Se la rimozione è forzata è perché è sbagliata e quindi va combattuta. Nei posti in cui la pericolosità è provata da ordini giudiziari, il primo passo non è la rimozione, ma piuttosto attuare misure che riducano il rischio: fogne, drenaggio del suolo, eliminazione dei rifiuti».

«Non si può proporre alla persone di spostarsi in luoghi lontani da quelli in cui vivono – conclude Guilherme -. I più poveri non hanno la possibilità di pagare baby-sitter che si occupino dei loro figli, o asili e biglietti dell’autobus ecc. Questi abitanti dipendono – per sopravvivere – da una rete di amici e familiari che si sono costruiti nel corso della vita in quel luogo. Devono essere spostati in luoghi vicini a quelli in cui vivevano». Il che significa che non ci sono scuse se non gli interessi immobiliari e commerciali, o lasciare spazio alle opere dei megaeventi.

* Gizele Martins é giornalista e coordinatrice del «Jornal o Cidadão»

traduzione di Serena Romagnoli