Con il green pass potremo viaggiare, partecipare ad eventi, entrare in discoteca, andare a trovare i nonni o i genitori nelle Rsa. Tutto come prima, insomma. Salvo che ai nostri vecchi non è concesso uscire. Nemmeno per una passeggiata. Da un anno e mezzo sono reclusi. Mano a mano che l’emergenza pandemica va scemando, si tende a dimenticare la loro tragedia. È passato un anno dalla commozione generale per la «strage nelle Rsa». Con i fondi del Pnrr si è deciso di realizzare una rete di servizi di assistenza agli anziani e ai soggetti fragili. Il punto è che non si comprende ancora come e in che direzione saranno spesi gli 11 miliardi del Piano stanziati allo scopo. Non si sa quale ruolo è assegnato alle istituzioni pubbliche, ai Comuni in primo luogo. Si capisce solo che i gruppi privati, che controllano il mercato delle case di cura e di riposo, non mollano la presa. Anzi, approfittano di alcune ambiguità della missione 5 (inclusione e coesione) del Pnrr per allungare le mani sulle risorse in campo.

Sarebbe inaccettabile, considerando gli innumerevoli casi di cattiva gestione delle Rsa. Alcuni commentatori, anche di fronte all’evidenza, non rinunciano a magnificare le virtù del privato rispetto al pubblico. Danno sfoggio di sano pragmatismo, ma poi occultano il fatto che le Rsa si reggono su generosi contributi pubblici, che le convenzioni pubblico-privato sono una burla, che imprenditori privati lucrano sul bisogno di aiuto di anziani (e delle loro famiglie). Se non si rovesciano i termini del problema non se ne viene fuori. Non sono le persone che, con l’avanzare dell’età, devono andare in un istituto per avere le cure necessarie.
Ma sono i servizi domiciliari, sociali e sanitari che devono entrare nelle loro case. Anche le nuove tecnologie (telemedicina, domotica), la fornitura di ausili e l’abbattimento delle barriere architettoniche, possono favorire l’invecchiamento nella propria abitazione. Bisogna ribaltare la narrazione di lobby unicamente interessate a non rinunciare all’affare promettente e in crescita della silver economy.

Sono le condizioni di vita nelle Rsa, non degne di un paese civile, a consigliare un radicale mutamento di approccio al problema. Parliamo di persone «internate», segregate. Questi sono i termini appropriati. I Nas, da marzo 2020 fino ai nostri giorni, hanno effettuato circa 7 mila controlli (pur con le difficoltà per la mancanza di un’anagrafe nazionale delle residenze). Sono emerse migliaia di situazioni irregolari e di degrado: carenze igienico-sanitarie, anziani lasciati soli, a volte malnutriti e/o disidratati, numerosi operatori sanitari non vaccinati. Ci sono stati arresti, denunce, sanzioni, strutture chiuse e sequestrate. Diverse procure indagano per truffa allo Stato, peculato, abuso d’ufficio, e altro. Dal ministro della salute Speranza ci si attenderebbe un deciso cambio di politiche e di prospettiva.

L’idea da affermare è semplice. La casa è il luogo di cura, di prevenzione e, soprattutto, di vita delle persone anziane. Il problema, dunque, è spostare poste del bilancio pubblico, già presenti, ma utilizzate male, e i fondi del Recovery plan per l’assistenza domiciliare, per i servizi sociali e sanitari sul territorio, per adeguare le abitazioni alle esigenze della vecchiaia. Serve anche un piano per riqualificare gli operatori, che oggi lavorano nelle case di riposo, per trasferirli ai servizi territoriali. Analogo discorso va fatto per le badanti, che svolgono (spesso in nero) un ruolo di surroga rispetto all’assenza di servizi domiciliari. Come ha documentato l’Istat, su sette milioni di over 75, circa tre milioni hanno problemi di autosufficienza e più di un milione lamenta di non poter contare su un aiuto adeguato.

L’assistenza domiciliare integrata (ADI), quella pubblica, è assolutamente insufficiente o del tutto inesistente in molte aree del paese. Sono in aumento coloro che si rivolgono a servizi di assistenza a pagamento (privati). Ma sono molti gli anziani soli e poveri (circa centomila) che non hanno un reddito tale da potervi accedere. Sono dati che si commentano da sé e mostrano la falsità e la malafede di chi afferma che la voce anziani nel bilancio del welfare assorbirebbe molti soldi.

Un nuovo modello di welfare per la terza e quarta età è nelle cose. Non è giustificabile l’attuale abnorme spreco di risorse pubbliche per una politica che subordina l’assistenza e la sanità pubblica alla crescita del settore privato. Oggi si sottraggono risorse ai servizi pubblici, condannati spesso al degrado, per rimpinguare strutture private che, salvo qualche rara eccezione, non meritano di stare sul mercato. Rischio d’impresa significa contare sulle proprie forze e puntare sulla qualità dell’offerta. Altrimenti parliamo di imprese private che realizzano profitti con soldi pubblici. È il momento di dirlo forte e chiaro ai padroni delle cliniche private e delle Rsa. A nessuno si nega la libertà di stare sul mercato. Ma ci si deve stare rinunciando a rendite di posizione coltivate all’ombra dello Stato sociale.