Non è bastato l’appello uscito proprio su questo giornale qualche settimana fa e sottoscritto tra gli altri da Piero Bevilacqua, Luciana Castellina ed Aldo Tortorella, appello che invitava LeU a candidare l’ex sindaco di Lamezia Terme, città sciolta di recente per mafia, Gianni Speranza, a capolista in una delle tre circoscrizioni calabresi.

In sostanza, recitava l’appello, se la sinistra in Italia e nel Mezzogiorno vuole recuperare identità e valori non può prescindere dalla “necessità di offrire agli elettori, forse più che in altri luoghi del paese, figure-simbolo che raccontino una storia di riscatto, di moralità, di buon governo”.

Come quella, appunto, di Gianni Speranza, per dieci anni a Sud “esempio di buona politica”.

Appello inutile, purtroppo. E forse c’era da aspettarselo conoscendo il cinismo che alberga da sempre in certa sinistra. Hanno avuto la meglio altri ragionamenti, altre esigenze.

Come quelle, mi duole dirlo, di riproporre i soliti riti di un ceto politico fatto di parlamentari uscenti, componenti di segreterie nazionali, segretari di regione che propongono se stessi e si auto-tutelano reciprocamente, in nome di tessere o di gerarchie (le seconde non di rado costruite sulle prime).

Di solito su questo giornale mi occupo di tv e politica, ma questa volta non posso fare a meno di parlare della Calabria, perché quanto accaduto nella regione in cui vivo, dà la misura di come la forza politica che si vorrebbe far nascere a sinistra muova i suoi primi passi nel peggiore dei modi possibili.

Non posso fare a meno di constatare che in Calabria (come altrove) LeU ha premiato una logica politicamente angusta e pure di cortissimo respiro elettorale: la doppia candidatura di Stumpo alla Camera e quella del segretario regionale di SI al Senato, occupando così ogni spazio eleggibile nelle tre circoscrizioni calabresi, appare guidata da sterili ragioni ‘di partito’, per giunta inconsistenti oramai per la mancanza stessa dell’oggetto.

La scelta locale, ingenerosa e miope non solo verso la figura di Speranza, sindaco di Lamezia per un decennio, da sempre riferimento della sinistra in tutta la regione, conosciuto a Sud e nel paese, tra l’altro già candidato di punta alle scorse regionali dove era stato il più votato della lista ‘Sinistra’, ma anche verso Nicola Fiorita, appassionato artefice con il suo movimento civico di un risultato insperato alle scorse comunali di Catanzaro, denuncia più in generale l’evidente impasse di una forza politica avvitata intorno ai suoi, non sempre all’altezza, apparati.

Del resto anche per Pietro Bartolo, altra figura simbolo, LeU è riuscita nell’impossibile impresa di non trovare un posto nella sua Sicilia, tanto da spingere il medico di Lampedusa, conosciuto in tutto il mondo, a rinunciare alla fine ad una più che bizzarra candidatura a Pavia.

Alla logica della nomenclatura, perdipiù, si è sovrapposto anche il brutto e renzianissimo vezzo del leader che si garantisce i ‘suoi’, una logica alla quale ahimè anche i presidenti delle Camere non sembra siano riusciti a sottrarsi.

Il rischio è che la credibilità del progetto di LeU ne venga pesantemente minata: che insomma quella sinistra ‘scappata nella foresta’, per usare la colorita metafora di Bersani, da questa non ritorni affatto sui suoi passi, preferendo la foresta, ancora una volta, alle decotte liturgie di chi invoca ritorni all’ovile ma non offre un progetto nuovo, persuasivo e convincente.