«In quella parte del libro de la mia memoria»: è questa la frase che accoglie il visitatore e la visitatrice della mostra La biblioteca di Dante, aperta al pubblico fino al 16 gennaio nella splendida cornice di Palazzo Corsini, a Roma. La citazione, tratta dall’incipit della Vita nuova e stampata sul pannello espositivo che precede l’ingresso alla mostra, è già un’indicazione e un invito per chi si accinge a entrarvi: si tratterà di un viaggio fra libri e memoria, ovvero di un viaggio dentro «il libro» della memoria di Dante, ovvero di un viaggio dentro la memoria creatrice di libri.
Il tentativo della mostra – curata da Roberto Antonelli, Ebe Antetomaso, Marco Guardo, Lorenzo Mainini – è infatti non solo di ricostruire attraverso le dichiarazioni, i rimandi, le citazioni esplicite di Dante quali sono i libri che il poeta ha letto nelle varie fasi della sua vita, ma è anche quello di consentire al pubblico di entrare dentro «il libro della memoria» di Dante. I più di settanta codici in mostra, provenienti da tutta Europa, non sono solo la prima esposizione materiale di una possibile «biblioteca di Dante», ma anche la manifestazione plastica – vertiginosa – del funzionamento della memoria del poeta, ovvero di come la sua memoria – di testi, auctores, immagini – abbia lavorato per la costruzione delle sue opere.
La portata dell’impresa, si capisce, è enorme, e per molti versi irripetibile: non solo chi visita la mostra ha la possibilità di vedere tutti insieme, e tutti da vicino, manoscritti che non avrebbe mai potuto vedere, se non singolarmente, in tempi diversi e con notevole fatica, ma ha anche la straordinaria opportunità di camminare tra «i movimenti interni della memoria» di Dante. Certo, perché l’esposizione è organizzata secondo un ordine tematico e cronologico che non dà «semplicemente» conto di una parabola progressiva delle letture del poeta – per intenderci: dai Salmi, su cui il piccolo Dante doveva aver imparato la gramatica durante gli studi elementari, alle letture di scienza e teologia fatte negli ultimi anni della sua vita adulta. Il punto è un altro: non solo e non tanto stabilire l’effettiva lettura di un testo o di un autore in un determinato anno, ma ricostruire il momento in cui quella lettura torna viva nella mente del poeta, si fa citazione, rimando, sistema di immagini e memorie, ovvero diviene creativa.
Se la Divina Commedia è «un gigantesco teatro della memoria» – come afferma Roberto Antonelli nel suo recente volume dedicato al poeta, dal titolo Dante poeta-giudice del mondo terreno (Viella) – visitare la mostra La biblioteca di Dante è esattamente entrare nel meccanismo di quel teatro: è osservare la macchina dal di dentro, vedere illuminarsi – una dopo l’altra ma anche contemporaneamente –, le spie del pensiero del poeta, le sue perfette o eccentriche connessioni interne, la sempreviva dialettica mentale fra lettura, memoria e creazione. Mentre si avanza nel percorso espositivo della mostra, stanza dopo stanza, codice dopo codice, le voci degli auctores si moltiplicano, ma è il filo della voce di Dante a tesserle e armonizzarle: un insieme polifonico di voci miste, e differenti linee melodiche, di cui il poeta è insieme maestro di coro e primo cantore.
All’emozione di vedere per la prima volta riuniti manoscritti di valore immenso, come quello della Biblioteca Nazionale di Roma Vitt. Emm. 1502, che raccoglie i testi profetici di Gioacchino da Fiore, con illustrazioni di straordinaria fattura, o i diversi codici fiorentini provenienti dall’antica biblioteca di Santa Croce (il convento francescano che Dante forse frequentò prima del suo esilio), si aggiunge dunque quella della partecipazione ai moti del pensiero e della memoria del poeta, al lavorio della sua mente, alla rete delle sue immagini interiori. L’esperienza è meravigliosa, e in quanto tale illumina e turba: «Magna vis est memoriae, nescio quid horrendum, Deus meus, profunda et infinita multiplicitas» – «Grande è la potenza della memoria: un non so che di spaventoso, mio Dio, una profonda e infinita complessità», scriveva Agostino, in un passo delle sue Confessioni ben noto a Dante. Chi visita la mostra, promossa dall’Accademia Nazionale dei Lincei, potrebbe affermare qualcosa di simile: tale è l’efficacia dell’operazione, tanto forte è il contatto con la memoria del poeta che il percorso espositivo induce e produce, che chi guarda non può che sentirsi immerso in una profonda, infinita, portentosa, complessità, di cui non riesce a intravedere i confini ma di cui, al contempo, sente profondamente di far parte: è così che il percorso nella biblioteca-memoria di Dante chiama in causa e attiva la memoria di chi osserva, che le letture del poeta ci ricordano e vivificano le nostre letture, che le tracce del passato di lui, divengono tracce del nostro passato – personale, intimo, emotivo, e insieme collettivo.
Le radici della nostra cultura e identità europea sono tutte dispiegate davanti a noi: camminare nella «biblioteca» di Dante è camminare nella nostra storia, è in questo passato «memorabile» e pulsante che troviamo senso, spinta e respiro per inventare il nostro futuro.