Evgenij Onegin, «romanzo in versi», secondo la definizione del suo autore, Aleksandr Puškin, ha il valore di un diario lirico, naturalmente sui generis, che l’autore avrebbe tenuto nel corso di molti anni. In effetti, il lungo processo compositivo dell’opera, durato sette anni, accompagnò l’autore dalla primavera del 1823 all’autunno del 1830, dall’esilio di Kišinev, in cui l’aveva confinato lo zar per via della sua vicinanza alle istanze riformatrici che sfoceranno nella rivolta decabrista del 1825, alla «quarantena» di Boldino, la tenuta di famiglia dove rimarrà bloccato per vari mesi a causa dell’epidemia di colera, registrando avvenimenti cronologici e spirituali della sua vita.

ALLA COINCIDENZA fra autore e eroe lirico, allude peraltro Puškin stesso, definendo il suo Evgenij «un ragazzo colto ma svagato», come lui appassionato di teatro, balli e donne, che parla e scrive un francese perfetto. Ma è attraverso i libri, in gran parte presenti nella sua biblioteca personale, che annoverava più di 3000 volumi, in quattordici lingue straniere, la maggior parte in francese, che l’autore tratteggia i caratteri dei suoi personaggi, di Evgenij, e anche degli altri, Tat’jana e Lenskij in particolare.
Puškin era un appassionato bibliofilo e durante la sua vita raccolse libri di tutti i generi: letteratura (belles-lettres e critica letteraria), arte, filosofia, storia, geografia e persino medicina, in quello che è a tutti gli effetti il suo laboratorio creativo. La biblioteca, che si trovava nella tenuta di famiglia di Michajlovskoe, vicino a Pskov, fu venduta dagli eredi nel 1906 all’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo e costituì il nucleo intorno a cui fu istituito il centro di ricerca Puškinskij Dom (La casa di Puškin), tuttora frequentato da studiosi di tutto il mondo.
I libri sono dunque l’originale chiave di lettura attraverso la quale, con ironia, l’autore delinea i caratteri dei suoi personaggi. Evgenij conosce poco la cultura classica, qualche autore greco (Omero, Teocrito) e nessun latino («non è più di moda il latino»), e la sua formazione generale è influenzata dalle tendenze letterarie allora di moda, dal romanticismo di stampo byroniano, che appassionò Puškin ai suoi esordi.

[object Object]

EVGENIJ È UN VERO dandy pietroburghese che però, a differenza del suo autore, non ama la poesia a cui preferisce libri sulla dottrina dello stato (Adam Smith) e di storia e filosofia. L’erudizione storica di Onegin è una delle sue caratteristiche più interessanti e, nella prima redazione del poema, Puškin citava fra le sue letture La storia d’Inghilterra di Hume e La storia del regno dell’imperatore Carlo V di Robertson, due testi che si trovano nella sua biblioteca personale. Annoiato da un’esistenza oziosa, oppresso dalla chandrà, un misto di noia e malinconia, simile allo spleen inglese che affliggerà una generazione intera di russi, brillanti ma incapaci di dare un senso alla propria vita, («Via anche i libri dopo gli amori!»), Evgenij si trasferisce in campagna nella tenuta ereditata dallo zio. Lì incontra Lenskij, un giovane poeta che ha carattere e gusti letterari molto diversi dai suoi, ma che in breve tempo diverrà un amico inseparabile. Allegro, cordiale, Lenskij è un «discepolo di Kant», della Germania nebbiosa, un ammiratore della poesia di Schiller e di Goethe, al contrario di Onegin e dello stesso Puškin («Io odio e disprezzo la metafisica tedesca») che preferiscono la cultura inglese e francese. Sarà proprio il giovane poeta, affabile e socievole, a convincere Evgenij ad accompagnarlo dai vicini, dove farà la sua apparizione Tat’jana, l’eroina del romanzo, la vera protagonista, secondo l’opinione di Dostoevskij. Anche lei, signorina di provincia, riflette i gusti del tempo: le piacciono i romanzi della seconda metà del XVIII secolo (Richardson e Rousseau in particolare), ormai passati di moda fra gli abitanti della capitale, le narrazioni in cui gli eroi sono persone nobili, fedeli alle leggi del dovere e dell’onore, capaci di sacrificarsi per un ideale.

NELL’IMMAGINAZIONE di Tat’jana, che si innamora a prima vista di Evgenij, «l’amante di Julie Wolmar, Werther e Grandison // erano tutti un’immagine sola, // tutti Onegin, sempre e ancora». «Ma il nostro eroe per alcun verso // non era Grandison di certo» e non ricambia l’amore della ragazza. La situazione precipita durante una festa di onomastico, cui segue un duello fra Onegin e Lenskij. Quest’ultimo rimane ucciso e Evgenij, scosso dall’accaduto, abbandona il paese. Rimasta sola, Tat’jana vagabonda per i boschi, arriva alla villa abbandonata da Onegin, la visita, rimane turbata nel vedere gli oggetti che hanno circondato il suo eroe e chiede il permesso di tornare per leggere i libri che «lui» leggeva, per cercare di capirne il carattere. Evgenij è assente ma spiritualmente presente in tutte le cose della vita quotidiana ma soprattutto nei suoi libri: «in molte pagine restava // dell’unghia il segno tagliente», perché nonostante, «da un pezzo si sa la lettura // per Eugenio era in disuso, una certa letteratura // dal suo rifiuto aveva escluso: // del giaurro e Don Juan il poeta // E due o tre romanzi che l’epoca // rispecchiavano».

LA BIBLIOTECA SVELA la cultura del dandysmo, con le opere di Byron e i romanzi psicologici che andavano di moda: Chateaubriand, Benjamin Constant. A lungo, a quanto risulta dai manoscritti, Puškin lavorò alla versione definitiva della strofa in cui elencava i libri presenti nella biblioteca di Onegin.
Originariamente non comparivano solo quelli di Byron, perché nel 1827-28, quando scriveva il VII capitolo del suo romanzo in versi, Puškin era ormai lontano dal romanticismo byroniano. Le varianti mostrano che nella biblioteca comparivano anche libri di storia e filosofia: Hume, Robertson, Rousseau, de Mably, Byron, von Holbach, Voltaire, Helvetius, Locke, Cicerone, Fontainelle e soprattutto Kant. In un secondo momento, lo scrittore decise però di sostituire i filosofi con i romanzieri, sembrandogli più naturale il fatto che Tat’jana si appassionasse alla lettura di romanzi. Gli sembrò però esagerato procedere a una vera e propria enumerazione, tanto più che introduceva già nella strofa il nome di Byron per mantenere il legame con quella che era stata la descrizione di Onegin, quale l’aveva conosciuto Tat’jana la prima volta. Nella variante successiva figuravano quindi: Corinne di M.me de Stael, alcune opere di Walter Scott, Melmoth di Maturin, René di Chateubriand, Adolphe di Benjamin Constant poi sostituiti nella stesura definitiva con un’indicazione più vaga: le opere di Byron e i romanzi contemporanei.

NONOSTANTE LA SCELTA le sembri un po’ strana, Tat’jana si appassiona alla lettura dei libri di Onegin, che le fanno capire che tipo di uomo sia quello di cui si è innamorata: «un bislacco triste e infido, // un moscovita // da Childe Harold travestito». La visita alla biblioteca, la lettura dei libri e la graduale scoperta dell’indole del suo eroe, prepara il cambiamento di Tat’jana, il suo passaggio da signorina di provincia a dama del gran mondo così come apparirà nel capitolo finale del romanzo. Attraverso la lettura, cresce la personalità dell’eroina che prende coscienza dell’esistenza di sofferenze e offese diverse da quelle che si patiscono per amore. È una scoperta che la spaventa e che la costringe a considerare la passione come una sconfitta, a venire a patti con la realtà e a vivere i propri sentimenti solo nel profondo del suo cuore. Alcuni anni dopo, Tat’jana, ormai sposata a un nobile di rango, e Onegin, rientrato in patria dai suoi viaggi, si incontrano di nuovo durante un ricevimento a Pietroburgo. La storia non finirà con un banale happy end: questa volta sarà Evgenij a innamorarsi e a dover cercare nelle «disordinate letture» il conforto al deciso rifiuto di lei.
Così finisce il romanzo in versi che Puškin scrisse per sette anni e sette anni dopo (1837) un duello porrà fine alla sua vita.