Cari prefetti vi scrivo. E così il governatore della Regione Lombardia, Roberto Maroni, si è messo in ginocchio e ha scritto la lettera che avrebbe dovuto far tremare le Prefetture di mezza Italia. La risposta, garbata, è arrivata quasi subito: un’alzata di spalle generale. Questo il livello del dibattito in Italia, mentre da Bruxelles proprio ieri sono arrivate voci di un probabile slittamento della decisione sulla distribuzione in Europa dei 40 mila profughi sbarcati tra Italia e Grecia. Una decisione che avrebbe dovuto essere presa martedì prossimo durante il consiglio Affari interni del 16 giugno. Segno, ancora una volta, che l’Europa non c’è e che i paesi sono uno contro l’altro mentre migliaia di persone ogni giorno rischiano di morire nel Mediterraneo.

La non decisione conferma il rifiuto di molti governi che non hanno alcuna intenzione di accettare la ripartizione dei profughi (Inghilterra, Francia, Ungheria e Spagna). E dire che il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, proprio due giorni fa è andato in Europa anche per dire che quella quota di profughi prevista comunque non sarebbe stata sufficiente per affrontare la situazione. Chiedeva più impegno. Rischia di ricevere l’ennesimo schiaffo. Per ora dovrà accontentarsi della dichiarazione fumosa di un portavoce della presidenza lettone di turno. Questa: “Ci sarà un ampio dibattito politico sull’agenda europea e uno scambio di vedute sugli aspetti legati ai rimpatri, compreso lo stato dell’arte dei negoziati in corso. Dopo quella fra i ministri, ci sarà una discussione anche al Consiglio europeo di giugno, che darà le linee guida per l’ulteriore lavoro”. Detta così, qualcosa meno di nulla. Considerata l’entità del problema, poche righe ancora più irritanti di quelle vergate ieri da Roberto Maroni.

Almeno, a lui, qualcuno ha risposto per le rime. “Attendiamo gli invii del governo, certamente Milano è ancora pronta a fare la sua parte in termini di solidarietà”, aveva già detto il prefetto Tronca. Poi la nota ufficiale: “I prefetti della Lombardia non rispondono certo al governatore, con tutto il rispetto per Maroni. La materia è di competenza dello Stato e i prefetti si attengono alle direttive del ministero dell’Interno e del governo” (Sinpref). Però Maroni ha scritto lo stesso: “Vi chiedo di sospendere le assegnazioni nel comuni lombardi in attesa che il governo individui soluzioni di accoglienza temporanea più eque, condivise e idonee, che garantiscano condizioni di legalità e sicurezza”. Insomma, non proprio una dichiarazione di guerra.

Il governatore snocciola dati, per dire ai prefetti che la Lombardia è la terza regione italiana, dopo Sicilia e Lazio, come percentuale di presenze di immigrati nelle strutture di accoglienza (6.599, contro 16.010 e 8.611). Non ha torto in numeri assoluti, ma la realtà è un’altra: le regioni non sono tutte uguali per dimensioni e popolazione visto che la Lombardia accoglie 66,7 profughi ogni 100 mila abitanti, mentre il Molise, per dire, 396,8. Dunque, è evidente che sono le regioni del sud a dare il maggiore contributo all’accoglienza dei 73 mila migranti che in questo momento sono ospitati nelle strutture sparsi sui territori. Ma Maroni non demorde e rilancia altre idee strampalate, come una sorta di “lista di proscrizione” dei comuni che accoglieranno i migranti e, per contro, un premio per i comuni che diranno no ai profughi. Il contrario della promessa di Renzi: “Voglio utilizzare i fondi del patto di stabilità per premiare i comuni che rifiutano di prendere clandestini”.

Intanto, il suo capo indiscusso, Matteo Salvini, nel giro di 24 ore è passato dall’assalto alle prefetture all’apologia della telefonata molesta. “I prefetti cercano casa per migliaia di clandestini? Facciamogli sentire cosa ne pensiamo!” L’invito all’insurrezione, twittato con tanto di numeri di telefoni, si limiterebbe ad inviate i cittadini a chiamare le prefetture. Poi, se fosse per lui, come ha maramaldeggiato su Radio24, i prefetti li eliminerebbe, “diamo i poteri di ordine pubblico ai sindaci e risparmiamo 500 milioni che possiamo dare ai disabili”. Un’altra boutade, degna dello sconsolante balbettio di un’Europa che si sta scavando la fossa.