La prima caratteristica del nuovo film di Ang Lee è la sua «fabbricazione», lo ha girato in 3D, in risoluzione 4k e in HFR, cioè a 120 frame al secondo, cinque volte la normale frequenza anche se un numero esiguo di spettatori potrà vederlo nel formato originale , poche sale al mondo infatti sono in grado di proiettarlo. E allora perché verrebbe da chiedere. La risposta è nell’ambizione del film, nella sua ricerca di un iperrealismo che un flusso di immagini così repentino da sfuggire all’occhio moltiplica all’infinito.

La  «decostruzione» della realtà – e dell’immaginario – fa parte del cinema di Ang Lee almeno dai tempi dell’acclamatissimo I segreti di Brokeback Mountain (2005) in cui si avventurava nel terreno macho per eccellenza dell’immaginario Usa, i cow-boy, i bovari virili per ambientarvi un melò d’amore omosessuale, con tutti i passaggi della battaglia di chi deve lottare contro pregiudizi sociali e personali. Un tabù assoluto per una storia d’amore tormentata – pure se gli studi sul gender riguardo l’omoerotismo dei cowboy nel cinema specie quelli delle coppie celebri hanno già detto molto – che ha fatto trepidare e impazzire migliaia di cuori. Perché Ang Lee ammicca a tutti i tasti giusti, non c’è nulla di «provocatorio» in quel film e nemmeno di particolarmente irriverente, se non quel porsi rispetto all’immaginario – e alla società che lo esprime – con una furbissima innocenza da «straniero», quale è lui che arriva in America da Taiwan, e che di quei codici (e di quel mondo) ostenta la libertà di guardare il rovescio.

 

 

Una posizione che ritorna – sempre con oculatezza mirata a piacere – anche nei film successivi tipo Vita di Pi, ed è smaccata in questo Billy Lynn – Un giorno da eroe dove la guerra si intreccia all’apparenza, all’immagine di una mitologia mediatica: il reale scompare nella sua rappresentazione e le lacrime del giovane soldato inerme nella macchina dello spettacolo sembrano essere rimaste la sola cosa «vera» nel baraccone che è l’America.

 

 

Il Billy Lynn del titolo (Joe Alwyn) è un ragazzone partito alla guerra per via di sua sorelal – Kristen Stewart versione proletarizzata – che ora cerca in ogni modo di riportarlo a casa. Ma lì nell’Iraq assolato ha imparato presto la fatica di sopravvivere, di combattere e soprattutto ha scoperto la complicità coi suoi commilitoni comandati dall’iconico buddhista Vin Diesel che prima di ogni scontro ai suoi uomini dice: «Vi amo». E ci ha preso l’abitudine Billy Lynn, non saprebbe più tornare indietro come gli altri che sono oggi ospiti d’onore insieme a lui di un show che si tiene durante una partita di football.

 

 

Sembra tutto bellissimo, Billy è l’eroe celebrato per il coraggio con cui ha cercato di salvare il suo comandante, mentre il suo viso da bambino traumatizzato appare grandissimo sullo schermo qualcuno tra i ballerini lo insulta, la diva Beyoncé gli mostra le spalle, la cheerleader cattolica è pronta a scoparselo purché a lui non venga in mente di entrare nella realtà. E alla fine le bodyguard cercano di picchiarli, loro che combattono per salvare la patria.

 

 

Sull’inadeguatezza del soldato dopo la guerra alla vita quotidiana molto e con più profondità ha detto un film come The Hurt locker (2008) di Bigelow, così come De Palma nel suo magnifico Redacted ha scardinato lucidamente la retorica della guerra nella sua rappresentazione mediatica. In fondo però non è questo l’obiettivo di Ang Lee, o meglio non il principale.

 

 

Nel legame  virile (?) dei commilitoni e nelle loro teste spappolate dalla guerra ciò che cerca è, ancora una volta, il punto di rottura culturale, sociale dell’America, verità e menzogna di un immaginario che ne fonda e ne accudisce le certezze di cui dissemina nella storia le figure «eterne» : – reduci, cheerleader, rapaci produttori hollywoodiani, white trash, agenti senza scrupoli. È qui lo scollamento tra ciò che è e ciò che il pubblico vuole vedere: l’Eroe, la guerra sempre giusta. Ma Ang Lee è poco raffinato, le ambiguità gli sfuggono in un sistema binario fracassone come lo show a cui ammicca con benevolenza confondendo la critica con la sua apoteosi.