Nel 1940, la guerra aveva impedito a Paolo Ketoff, giovane diplomato Fonico e Tecnico del suono al Centro Sperimentale di Cinematografia, di dar seguito alla borsa di studio per l’accesso all’Accademia di Belle Arti. La fine della stessa guerra determinò poi l’occasione, per il giovane fonico di origine russa, di formarsi sul campo, al seguito dei contingenti alleati impegnati nel ripristino degli impianti radiofonici sul territorio italiano. Ketoff fu dunque, e prima di tutto, un uomo di radio e di cinema, che nel corso degli anni Cinquanta ebbe modo di affinare il mestiere sul set e negli studi di postproduzione. La presenza dell’industria cinematografica fu uno dei fattori che determinarono le peculiarità dell’avanguardia musicale elettronica a Roma. Uno dei fattori, ma non il solo. Concorsero a delineare l’identità elettroacustica della Capitale anche il mestiere diffuso della sonorizzazione radiofonica e televisiva, una spiccata vocazione per le forme di ibridazione intermediale e per l’improvvisazione. Non va poi dimenticato il rapporto privilegiato con gli Stati Uniti, in gran parte riconducibile all’attivismo dell’Accademia Americana nel far convergere a Roma giovani borsisti provenienti dai più prestigiosi corsi di composizione della Ivy League. Fu Otto Luening, allora responsabile musicale dell’Accademia di via Angelo Masina, a chiedere a Paolo Ketoff di dar vita a un laboratorio ben attrezzato già nel 1962.

EFFETTI SONORI
In quel periodo Ketoff aveva già all’attivo il Fonosynth, una formidabile stazione di lavoro che riuniva in un unico macchinario molte delle funzioni richieste per creare effetti sonori d’impatto e rapida realizzazione. Il Fonosynth nasceva dalla collaborazione con il compositore Gino Marinuzzi jr., che i più ricorderanno come autore delle musiche per il fortunato Maigret televisivo di Mario Landi, ma che i cultori dell’avanguardia romana identificano come membro dello Studio R7, il gruppo di compositori e tecnici che, sul nucleo del misconosciuto Studio di fonologia musicale di Roma – un sodalizio tra i giovanissimi Walter Branchi e Guido Guiducci -, tentò nel febbraio del 1968 la pur breve avventura di uno studio dalla doppia identità, commerciale e di ricerca, che avrebbe cercato di finanziare la seconda con i proventi della prima, e che vide impegnati musicisti come Evangelisti, Guaccero e Macchi.
L’attività di Ketoff, che nel marzo del 1967 aveva ospitato a Roma Robert Ashley in occasione della rassegna Avanguardia Musicale II, incrocia anche uno dei più influenti gruppi di improvvisazione attivi a Roma, il MEV (Musica Elettronica Viva). Apprendiamo da una lettera a John Eaton del novembre 1968 che fu lo stesso barone Agnello a invitare Ketoff a Palermo per l’ultima, memorabile edizione delle Settimane Internazionali della Nuova Musica, di cui Agnello fu fondatore e animatore. Ketoff prese infatti parte alla performance del MEV del 30 dicembre al Politeama come addetto ai nastri magnetici (mentre al Biondo si svolgeva una contrastata rappresentazione di Scene del potere di Guaccero). Fu forse durante le serate palermitane che Paolo Ketoff ebbe modo di approfondire il rapporto con John Cage, impegnato la sera seguente con Winter Music. In seguito, Cage ebbe in lui un riferimento per i concerti in Europa, e stabilì con Paolo e la moglie Landa un forte legame di amicizia.
Se appare improprio il parallelo, pur suggerito in passato, tra Paolo Ketoff e Marino Zuccheri – non foss’altro che per le profonde differenze che rendono tra loro incomparabili il monolitico Studio milanese, di cui Zuccheri fu l’anima scientifica, e l’arcipelago dell’avanguardia romana – è però indubbio che l’intelligenza e l’inventiva di Paolo Ketoff sembrano ingredienti indispensabili ogni qualvolta a Roma il musicista deve fare appello «alla scienza e alla tecnica», come si sarebbe detto allora. Per parte sua, Ketoff volle sempre rimarcare il suo ruolo di servizio e di interprete dei bisogni dei musicisti – «liutaio elettronico» è una sua autodefinizione – senza sovrapporsi, per quanto sia possibile, al loro lavoro creativo. È con questo obiettivo che nel 1965 vede la luce l’invenzione più nota di Paolo Ketoff, il Synket (Synthesizer-Ketoff).

MODULI DI SINTESI
Commissionato dall’Accademia Americana nel 1964 per il laboratorio elettronico di recente fondazione, il Synket è un sintetizzatore compatto costituito da tre moduli di sintesi sottrattiva con un equalizzatore e la possibilità di instradare nel circuito del segnale fonti esterne. La conformazione del suono dipende largamente dalla configurazione di una serie di interruttori situata su ciascun modulo e, in misura minore, dal «patching» (cioè da quel complesso sistema di collegamento di ingressi e uscite tipico dell’iconografia «eroica» di macchine come il Moog o il Buchla). Come il Fonosynth, anche il Synket risponde ad esigenze di rapidità ed efficacia, tipiche della cosiddetta «musica applicata», nella produzione sia di effetti sonori sia di musica nel senso più tradizionale, e si rivolge a un pubblico interessato ad ottenere risultati anche senza una specifica formazione scientifica. Ciò non impedì a John Eaton, «serious composer» che proprio in quegli anni gravitava intorno all’Accademia Americana, di divenire il primo collaudatore, sperimentatore – e in seguito, possessore e virtuoso – di uno strumento in cui, anni dopo, egli stesso riconobbe l’origine di parte delle sue fortune. Eaton stesso fu a sua volta un formidabile divulgatore: grazie al suo Concert Piece for Synket and Symphony Orchestra, eseguito al Tanglewood Festival di Boston nell’autunno del 1967 e dall’orchestra dell’UCLA nel maggio successivo (sotto la direzione di Zubin Metha), si interessò al Synket il Time Magazine con un articolo che avrebbe contribuito a lanciare la carriera di John Eaton.
Che ne è stato del Synket? Strumento artigianale, fu prodotto in un numero di esemplari, tutti lievemente diversi l’uno dall’altro, che verosimilmente non superò la quindicina di unità. Ketoff non volle mai portare la produzione del Synket a livello industriale, nonostante le documentate pressioni di Robert Moog, il quale tentò ripetutamente di indurre Ketoff a trasferirsi a Trumansburg con l’attrattiva di libertà e risorse per realizzare le sue idee. Ma Paolo Ketoff, figlio di Konstantin, esule rivoluzionario del 1905 e apolide, era a sua volta cosmopolita, parte di una intelligentsija di registi, artisti, scrittori, musicisti e attori che non era disposto a lasciare per inseguire un profitto «in the middle of nowhere», come lo stesso Moog ebbe a definire Trumansburg nel carteggio del tardo 1968.
Strumento capace di suscitare gli entusiasmi e l’inventiva di una generazione di compositori romani, sopravvissuto nel sonoro di film e sceneggiati televisivi, il Synket rivive oggi in un esemplare riportato in piena efficienza dagli sforzi del Centro Ricerche Musicali di Roma presso il laboratorio «Paolo Ketoff», recentemente inaugurato presso l’Accademia di Santa Cecilia.

 

OMAGGIO AL LIUTAIO ELETTRONICO
Dopo decenni di relativo oblio, Roma riscopre Paolo Ketoff, il geniale tecnico del suono e inventore che animò la scena elettroacustica della capitale negli anni Sessanta. Già nel 2014 l’editrice Aracne pubblicava una monografia intitolata Il liutaio elettronico; quest’anno vede la luce il Laboratorio Paolo Ketoff, uno studio elettronico diretto da Michelangelo Lupone e allestito presso l’Accademia di Santa Cecilia dal Centro Ricerche Musicali di Roma. Il Laboratorio, fulcro di un’intensa attività didattica e di ricerca coordinata e integrata al corso di Composizione di Ivan Fedele, non è solo un omaggio simbolico al grande italo-russo. Esso ospita infatti un esemplare del Synket, il sintetizzatore ideato e costruito da Ketoff nel 1964 e recentemente riportato in vita grazie alle cure del CRM (e in particolare di due giovani musicisti, Livio Mammozzetti e Francesco Paradisi). È prevista per il prossimo autunno l’inaugurazione di una mostra dedicata a Paolo Ketoff, promossa e organizzata dall’Accademia di Santa Cecilia. La mostra sarà curata dal CRM con la collaborazione della Fondazione Musica per Roma, che fornirà gli spazi per l’allestimento.