Salgono le temperature, migliorano le condizioni meteo, aumentano vertiginosamente le ondate di profughi, gente disperata proveniente sopratutto dal fronte siriano, da quello afghano e dall’Africa subsahariana, in cerca di una terra sicura.

Le isole dell’arcipelago Egeo sono ormai il secondo collo dell’imbuto, dopo Lambedusa, di questo forzoso trasferimento di esseri umani dalle zone di guerra al vecchio continente. La chiusura del confine greco-turco sul fiume Evros, dopo la costruzione del “muro della vergogna”, ha spostato i flussi migratori quasi esclusivamente verso Lesbos, Chios, Samos e le isole del Dodecaneso. Un passaggio di poche miglia dalle coste turche dell’Asia minore a bordo di piccole imbarcazioni o di barche a vela e motoscafi, a seconda della tariffa (da 1.500 a 2.500 dollari a testa), che spesso finisce male. Le acque dell’Egeo con venti forza 9 e 10 non scherzano. Decine, se non centinaia di persone perdono ogni anno la vita.

Assistenza molto limitata

Da metà marzo arrivano nelle isole greche in media 100 rifugiati al giorno, un numero pari agli arrivi registrati nei mesi di picco dell’estate 2014. 457 sono stati registrati dalle autorità nelle isole del Dodecaneso nel gennaio scorso (+ 145% rispetto al gennaio 2014), 17.500 sono arrivati in tutto il territorio ellenico nei primi tre mesi di quest’anno. Nei giorni della Pasqua ortodossa, da giovedi a lunedi scorsi, sono giunti sull’arcipelago 1257 migranti (la metà sull’isola di Lesbos). Piú del 70% erani siriani, gli altri provenivano da Pakistan, Afghanistan e Bangladesh.
77.000 erano stati gli arrivi nel 2014, dei quali quasi i due terzi siriani. Numeri agghiaccianti, che rendono nullo ogni tentativo di esercitare una politica migratoria. Sull’isolotto di Gavdos, a sud di Creta, tra i profughi somali arrivati la settimana scorsa c’erano 30 minorenni non accompagnati.

«Sulle isole greche non esiste un sistema di accoglienza. A Leros è stata resa disponibile una struttura, ma è rimasta inutilizzata. E a Kos, la prima settimana di aprile, più di 200 persone tra cui donne incinte e bambini affollavano la stazione di polizia. Sono rimasti in uno spazio terribilmente piccolo e hanno ricevuto un’assistenza molto limitata» afferma Stathis Kyrousis, capo missione di Medici senza frontiere (Msf) in Grecia. Alcuni migranti hanno passato la notte nel cortile della stazione di polizia in attesa delle procedure amministrative. «A queste persone dovrebbe essere fornito un riparo, servizi igienici, cibo e l’accesso ai servizi sanitari di base» aggiunge Kyrousis.

Una palude di anime

La Grecia in questo lungo e sempre più pericoloso percorso non è più la meta, ma soltanto un luogo di passaggio, un punto di transito per il nord Europa, dove a sentire i migranti hanno sempre un parente che li aspetta e comunque hanno la possibilità di richiedere asilo. Negli ultimi anni la Grecia si è trasformata in una palude di anime, perché nessun governo finora ha avuto una politica migratoria rispettosa dei diritti umani e delle convenzioni riguardanti l’asilo politico.

Le tappe del percorso in territorio ellenico sono sempre le stesse: dalle isole dell’Egeo ad Atene e da lì, via Patrasso o Igoumenitsa, in Italia; oppure, visto che su questa rotta i controlli sono ormai molto severi, con l’uso di camere termiche nei porti, attraverso il confine settentrionale si va in Serbia e in Ungheria. E sempre la stessa, ma contraria alle procedure internazionali sull’asilo, è stata la tattica di Atene: respingimenti colettivi da parte della guardia costiera greca verso le coste turche e nel caso che i disperati riescano ad arrivare su un’ isola dell’Egeo o a oltrepassare il muro di Evros, al confine greco-turco, vengono rinchiusi in stazioni della polizia, della guardia costiera o nei cosiddetti centri di accoglimento, in realtà campi di detenzione.

Migliaia di profughi, compresi minorenni e donne, vivono in condizioni pessime senza assistenza medica dentro a questi campi, spesso per sei mesi e più, malgrado la legislazione ellenica permetta un periodo massimo di tre mesi. Trascorso un periodo di tempo imprecisato, oppure quando ci sono i fermi dei neo-arrivati, le autorità greche procedono alle espulsioni in silenzio o consegnano ai “vecchi” un foglio di via che li obbliga a lasciare il territorio ellenico entro 30 giorni. La piazza Omonia ad Atene, i dintorni nei porti di Patrasso e di Igoumenitsa e dal settembre scorso la cittadella di Eidomeni, al confine settentrionale della Grecia, sono i punti quasi obbligatori di passaggio verso l’ Europa del nord per chi ha un foglio di espulsione.

Maltrattamenti e torture

Che la Grecia non rispetti le direttive dell’Ue sull’accoglienza e le procedure di asilo lo dimostrano le testimonianze di centinaia di profughi che parlano di maltrattamenti, torture e condizioni di vita pessime nei campi di detenzione; lo affermano le condanne contro Atene della Corte europea dei diritti umani; lo denunciano l’ Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) e le ong sul campo, che dal 2008 chiedono a tutti i paesi di non consegnare extracomunitari alle autorità greche, ovvero di non applicare la convenzione di Dublino, quella per cui un migrante deve presentare la sua domanda di asilo nel primo paese europeo in cui mette piede; lo affermano le “direttive” dei paesi europei che giudicano la Grecia paese non sicuro per i richiedenti asilo.

La giustizia greca difficilmente si muove quando c’è la denuncia di un migrante e i media con l’eccezione dei giornali di sinistra non parlano. E Medici senza frontiere nonostante diverse richieste ai ministeri competenti non ha registrato nessun miglioramento.

Per dare un taglio a questa mancanza di volontà politica di rispettare le regole del sistema di assistenza ai rifugiati e per il fatto che la Grecia, come del resto anche l’Italia e la Spagna, è tra i paesi maggiormente colpiti dal regolamento «Dublino II», il governo di Alexis Tsipras cerca ora di intervenire. Anche perché se non vengono prese misure di urgenza con il picco degli arrivi previsto nei prossimi mesi, la situazione potrebbe trasformarsi in un’altra crisi umanitaria in un paese i cui abitanti vivono già in condizioni difficilissime. Su questo i greci hanno ragione: un paese con 10 milioni di abitanti e una situazione finanziaria sull’orlo del default dopo cinque anni di recessione non può sopportare né affrontare da solo i flussi crescenti di migranti.

La questione non riguarda tanto gli aiuti finanziari, la sollecitazione delle procedure burocratiche per i richiedenti asilo o la costruzione di strutture capaci di ospitare i profughi, ma la riforma delle politiche migratorie dell’Ue.

Una nuova politica migratoria

Martedi in una riunione straordinaria del premier con il ministro degli Esteri Nikos Kotzias e quello per la Protezione del cittadino Yannis Panousis, presente il vice-ministro alle Politiche migratorie, il governo greco ha deciso di mettere la questione sul tavolo dei colloqui a livello europeo, chiedendo una ripartizione equa dei rifugiati in tutti i paesi dell’Unione. Che in pratica vuol dire riforma del regolamento di Dublino II. «La questione dei rifugiati è un problema internazionale e non ellenico che necessita serietà, spassionatezza e innanzitutto umanità. Bisogna mettere da parte i giochi politici e i populismi quando abbiamo di fronte a noi vite umane», ha detto il portavoce del governo Gavriil Sakellaridis.

Inoltre il governo ha deciso di dare «tutti i documenti necessari» – ma non i passaporti come era stato scritto all’inizio sul comunicato stampa del governo – ai cittadini siriani richiedenti asilo politico. I rifugiati una volta giunti sulle isole saranno trasferiti ad Atene o in altri centri urbani, dove saranno ospitati in alberghi o altre strutture di accoglienza in collaborazione con l’ amministrazione locale.

Solo che Alexis Tsipras deve fare i conti da una parte con l’ opposizione che denuncia il governo di aver trasformato il paese in un «luogo di riposo per i clandestini» e dall’altra con la mancanza di volontà da parte dei comuni di collaborare per risolvere il problema. Ma sopratutto il premier greco deve trovare soldi per applicare la nuova politica migratoria, perché le casse dello stato sono quasi vuote.