Magro come tutti gli altri, occhiali severi riparati con il nastro adesivo, l’ingegnere cubano di Zaragoza era l’emblema di una situazione «speciale». Febbraio 1993: Cuba, rivoluzionaria poco più che trentenne, si presentava a un gruppo di europei «solidali», in visita. L’ingegnere spiegava la coltivazione della nutriente alga spirulina platensis (da allora, il commercio equo italiano la importa con regolarità). Stuoli di ricercatori lavoravano all’uso medico d energetico dei sottoprodotti della canna da zucchero. Le farmacie spartane esibivano medicine a base di erbe. Come scriveva la rivista italiana Capitalismo natura socialismo, la rivoluzione cubana era un laboratorio di innovazione. Un obbligo di sopravvivenza: perché Cuba stava vivendo il «periodo especial».

Nel 1992, gli Stati uniti avevano incrudelito il bloqueo extraterritoriale contro Cuba, colpevole anche di essersi opposta alla guerra del Golfo contro l’Iraq, mentre la stessa morente Urss si era piegata al diktat. La dissoluzione del blocco dell’Est lasciava l’isola economicamente sola; spazzato via l’85% dei suoi scambi, e in particolare le importazioni di petrolio russo (contro zucchero, tabacco, rum e agrumi). In quella subitanea carestia energetica, spiegherà anni dopo il documentario The power of Community. How Cuba survived to the peak oil, l’isola diventa «il primo paese al mondo a sperimentare un’economia post-petrolifera». A partire dal cibo. Nelle parole dell’agronomo Roberto Pérez, «da un’agricoltura ad alto consumo di fossili – per macchinari, irrigazione, pesticidi e fertilizzanti di sintesi – abbiamo dovuto inventarci di corsa la transizione all’autosufficienza».

I cubani di ogni professione, pur senza letizia si mettono a coltivare con input locali ogni pezzetto di suolo urbano e periurbano; molte terre statali sono redistribuite in usufrutto a cooperative e agricoltori. Lo sforzo di tutti, insieme al senso di comunità e al razionamento pubblico, evita la tragedia. E l’innovazione avviata in quegli anni bui fa sì che Cuba oggi esporti input bio per l’agricoltura. Del resto, come ha spiegato l’agroecologo Miguel Altieri al nostro settimanale ET, il modello cubano ha fatto scuola altrove.

Anche in campo energetico. Nel periodo especial non ci si accontenta di sudare sulle biciclette cinesi o di produzione locale, a sopportare la calura afosa durante i black out, a inventare con pratica fantasia strani mezzi di trasporto (dai camion-bus ai lunghi e snodati «cammelli»). Si lavora per l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili e decentrate, solare, micro-idroelettrico, biomasse da scarti.

Il processo si consolida dopo l’emergenza, nel 2006, spiega il report Energy revolution (del 2009). Sempre con un focus sulla solidarietà, anche internazionale: Cuba va a installare impianti solari in Venezuela, Bolivia, Honduras, Sudafrica, Mali; ad Haiti arrivano le lampadine a basso consumo grazie ai trabajadores sociales cubani, meno noti dei medici il cui lavoro è in tante emergenze apprezzato, e non di rado gratuito o in regime di baratto (come nel quadro dell’Alleanza Alba nata nel 2004).

Cuba ha l’internazionalismo nel dna. Nel Piano di studi di ingegneria biomedica (2008), leggiamo questo obiettivo: «Contribuire alla soluzione di problemi della vita materiale e spirituale della comunità, a livello locale, nazionale e internazionale». La ricerca sulle malattie diffuse nel Sud del mondo e neglette da Big Pharma fa il paio con qualcosa che pochi ricordano: anche in anni difficili, un centro medico cubano specializzato ospitava moltissimi «bambini di Chernobyl».

Per altri versi, ormai i servizi medici sono – insieme a un turismo certo invasivo – la fonte di valuta estera più importante per l’isola, che fin dagli anni 1960 ha puntato sulla scienza; proficui e storici gli scambi con esperti stranieri, anche italiani. Un’ invenzione cubana applicata in trenta paesi del mondo è il metodo di apprendimento «Yo sí Puedo». Ma Cuba è maestra anche nel suo sistema di prevenzione, allarme ed evacuazione: così, là i disastri non lasciano scie di morti.

Per il rapporto Living Planet di qualche anno fa, Cuba era fra i pochi paesi ad avere sia un alto indice di sviluppo umano che una bassa impronta ecologica. Nella arta a María Mantilla, l’eroe José Martí scriveva: «Molta merce, poca anima».
Ma todo cambia… Come avanza la modernizzazione?