Se l’Europa diventasse adulta, passo dopo passo le sue politiche economiche dovrebbero diventare più mature. L’Europa non è la Cina e tanto meno sono gli Usa, ma qualcosa comincia a muoversi. Ovviamente i processi storici non sono né graduali né scontati; l’esito è sempre incerto e per molti aspetti destabilizzante, ma l’equilibrio internazionale tra grandi aree economiche conflittuali, per definizione instabile, abbisogna di un attore capace di contenere, mediare e indirizzare socialmente ed economicamente la nuova geografia economica internazionale.

Diversamente l’Europa sarebbe schiacciata tra due aree (Cina-Asia e Usa) che possono contare su bilanci pubblici e una domanda (potenzialmente) sufficiente per condizionare i processi economici internazionali. I singoli Stati europei, sebbene si vedano grandi e autosufficienti, impallidiscono rispetto ai giganti internazionali. Questa riflessione diventa tanto più urgente tanto più il Patto di Stabilità europeo è solo sospeso e la clausola generale di salvaguardia sarà disattivata a partire dal 2023, quando si prevede che l’economia dell’Unione europea torni ai livelli precrisi.

Nel frattempo sono state avanzate alcune proposte: Efb (European Fiscal Board) sostiene la semplificazione della disciplina fiscale tramite l’identificazione di un unico obiettivo di finanza pubblica (rapporto debito pubblico/Pil, eventualmente differenziato fra paesi) e una modulazione della spesa primaria in un orizzonte di programmazione di medio periodo; Oliver Blanchard, partendo dalla constatazione di un alto debito sovrano, bassi investimenti pubblici e privati, ampia liquidità e bassi tassi d’interesse, sostiene che la politica economica dovrebbe garantire la sostenibilità del debito sovrano, mantenendo bassa la probabilità di default.

Il percorso dovrebbe avvenire tramite la definizione di standard qualitativi per le finanze pubbliche che abbiano la forma di raccomandazioni o linee guida, diverse per ogni Stato perché basate sulle caratteristiche strutturali delle economie nazionali e sul contesto macroeconomico.
Sebbene autorevoli, le proposte sono avulse dalla politica economica in senso stretto. L’Uem dovrebbe decidere cosa voglia fare da grande e che ruolo si vuole assegnare al Bilancio europeo, e come questo debba essere finanziato. Ngeu è un’azione una tantum ed è finanziata via titoli europei; la retrocessione dei titoli europei dovrebbe passare da un proprio sistema di imposte (Tobin tax, una base imponibile omogenea per le multinazionali e un sistema di tassazione ambientale).

L’eventuale nuovo Patto di Stabilità dovrebbe comunque misurarsi con questa innovazione. Diversamente si ritornerebbe al vecchio regime, sebbene un attimo ammorbidito. Ai singoli Stati sarebbe lasciata solo una politica economica indiretta e, forse, una maggiore autonomia, ma la politica economica europea continuerebbe ad essere una frazione di quella delle maggiori potenze economiche internazionali.

Il nuovo Patto di stabilità e Sviluppo post pandemia dovrebbe quindi considerare a quale livello si fanno realmente le politiche macroeconomiche, sia per governare i cicli economici e sia per attutire gli squilibri intrinseci nel capitalismo. Se l’Uem dovesse considerare 1) un bilancio pubblico europeo pari ad almeno il 5% del Pil, finanziato attraverso un proprio e coerente sistema fiscale, 2) una Bce con il compito di governare la moneta necessaria per sostenere i titoli europei e i livelli dei tassi di interesse, 3) la missione di “stabilizzare” i cicli economici e governare le grandi transizioni tecnologiche in un regime di buona e “piena” occupazione, il nuovo Patto di Stabilità e Sviluppo europeo è innanzitutto un “patto di stabilità e sviluppo macroeconomico dell’area euro” (programmazione economica e finanziaria), a cui si potrebbero associare dei vincoli di struttura economica per i Paesi aderenti, purché coerenti con l’obbiettivo di diventare un’area economica omogenea. Penso anche che l’attuale Ngeu non potesse superare i 750 mld in ragione dell’impostazione del bilancio europeo fatto, sostanzialmente, da trasferimenti degli Stati europei.

Emettere titoli europei per 750 mld per un bilancio europeo di 1.000 mld è una grande cosa, ma andare oltre sarebbe stato chiedere troppo a questa Europa. Sarebbe anche stato possibile, ma l’attuale natura del bilancio europeo è deficitaria. Riscrivere il Patto di Stabilità europeo dalla coda, cioè dal controllo dei conti pubblici dei paesi partecipanti, significa condannare l’Europa alla marginalità internazionale. Non vedo altre vie per aprire una riflessione puntale sul punto. Siamo nel solco del riformismo europeo legato alla storia di Altiero Spinelli, ma possiamo giocare una partita diversa? Mai come oggi la necessità di costruire degli equilibri superiori è diventata così urgente.