Tanti dubbi e tanti veleni, ma ancora nessuna certezza nell’indagine sulla morte del procuratore argentino Alberto Nisman. Il pm si occupava dell’inchiesta sull’attentato suicida contro la mutua israelitica di Buenos Aires, l’Amia, avvenuto il 18 luglio del 1994. Il kamikaze morì insieme alle sue 85 vittime e provocò anche centinaia di feriti. Due anni prima, per una bomba contro l’ambasciata di Israele avevano perso la vita 29 persone. Per quei fatti si è seguita la pista iraniana e diversi alti dignitari di Tehran sono ricercati.

Nisman, 51 anni, era stato incaricato dell’inchiesta dall’ex presidente Nestor Kirchner, nel 2004. La settimana scorsa era tornato però precipitosamente dalle ferie, aveva accusato la presidente Cristina Kirchner e il ministro degli esteri Hector Timerman di voler proteggere l’Iran in cambio di accordi commerciali, e avrebbe dovuto presentare le sue prove in parlamento. Invece, domenica è stato trovato morto nel suo appartamento nella Torre Le Parc, un palazzo residenziale dell’esclusiva zona di Puerto Madero, nel centro di Buenos Aires. Accanto al corpo, una calibro 22 e un bossolo: lo stesso esploso nel cervello del magistrato, ha appurato l’autopsia, ma sulle sue mani non c’è traccia di polvere da sparo. Con una calibro 22 può succedere – ha precisato Viviana Fein, titolare dell’inchiesta – e perciò non si esclude l’ipotesi del suicidio, anche perché non risultano prove della presenza di “terze persone” nell’appartamento. Secondo alcune voci di opposizione, si sentiva minacciato. Per questo, il giorno prima di morire aveva chiesto a un impiegato di procurargli la calibro 22 per motivi «di sicurezza». La sicurezza, di certo, non mancava. All’entrata dell’edificio stazionavano 10 agenti della polizia federale 24 ore su 24.

La versione argentina del racconto di Edgar Allan Poe? Oppure un suicidio istigato nelle torbide acque del caso Amia? Gruppi di opposizione sono scesi in piazza picchiando sulle casseruole e gridando «Yo soy Nisman», sulla falsa riga di Parigi e del «Je suis Charlie». L’accusa rivolta al governo Kirchner è quella di «complicità col terrorismo». Gli articoli del Clarin, feroce avversario di Cristina, hanno insinuato che il governo non si è poi troppo dispiaciuto dell’attentato al settimanale satirico francese. Cristina ha risposto con una lunga lettera.
«Chi è stato – si chiede la presidente – a ordinare al procuratore Nisman di tornare nel paese il 12 gennaio?» Risulta perlomeno strano credere «che qualcuno in possesso di una denuncia istituzionale così grave sia andato in vacanza e all’improvviso la interrompa e, senza avvisare il giudice del caso, presenti una denuncia di 350 pagine che evidentemente doveva aver preparato in precedenza». Non sarà – si domanda Kirchner – che qualcuno gliele ha date al ritorno, che per una rara casualità è il giorno dopo la marcia per gli attentati terroristici a Parigi?

Interrogativi che animano la vita politica argentina a nove mesi dalle elezioni presidenziali. Il giornalista Horacio Verbitsky, uno dei simboli della resistenza alla dittatura, parla di «rapporti promiscui» tra una parte della magistratura e uomini dell’intelligence legati ai servizi Usa e israeliani e al passato regime militare: come l’agente Jaime Stiuso, “pensionato” di recente da Kirchner e ombra nera del defunto procuratore: «Ci vuole una riforma dell’intelligence – dice Verbitsky – e anche una sulla trasparenza delle fonti in relazione ai media, è il momento che su questo il governo mantenga le promesse». La presidente ha ordinato alla direzione di intelligence di declassificare tutti i documenti sull’attentato all’Amia e ha esortato la magistratura a dare risposta a ogni quesito.

«Non ci sono solo stupore e domande – ha detto -, ma anche una storia troppo lunga, troppo pesante, troppo dura e, soprattutto, molto sordida: la tragedia del più grande attentato terroristico avvenuto in Argentina». Uno dei filoni dell’inchiesta, emersi nel corso degli anni, ma sempre lasciati cadere, ha puntato «sulla pista interna e su quella siriana» e ha collocato l’attentato nella temperie mediorientale del periodo, chiamando in causa la lunga mano di Washington e del Mossad. Un’ombra che torna, secondo la sinistra argentina anche oggi che il paese subisce l’attacco delle istituzioni internazionali per la questione dei fondi avvoltoio e per la scelta di campo a favore della sovranità nel continente latinoamericano. Un’ombra sostanziata dai grandi media privati, le cui pagine sorreggono i progetti delle destre in ogni paese della nuova America latina.