Per il momento in cui è arrivata la crisi, per il modo in cui Salvini si è finalmente deciso ad aprirla e per i rapporti di forza in parlamento non c’è alternativa al voto anticipato. Ma restano aperte due grosse incognite: la data delle elezioni e il modo in cui ci si arriverà.

LA DATA. È l’unico punto sul quale il presidente della Repubblica e il ministro dell’interno potrebbero essere d’accordo: bisognerebbe votare il prima possibile. Possibilmente ad ottobre, il 27. Il Quirinale è preoccupato per la legge di bilancio, che andrebbe presentata in Europa entro il 15 di quel mese. Ma non è un termine ultimativo, sopratutto in caso di crisi. A ogni modo non è detto che ipotecare la legge di bilancio sia una prospettiva angosciante per la Lega, visto che la manovra 2020 è già stata scritta nel 2018 con 23 e passa miliardi di entrate da aumenti dell’Iva; il problema per l’attuale maggioranza è caso mai quello di scaricare altrove le responsabilità. Proprio l’esperienza dell’anno scorso, poi, dimostra che una legge di bilancio si può ormai scrivere e fare approvare dal parlamento anche in una settimana, a dicembre.

Per votare ad ottobre, però, Mattarella dovrebbe poter sciogliere le camere entro l’ultima settimana di agosto, e non è detto che ci si riesca perché il senato – è lì che Conte dovrà tornare, nel rispetto della «regola della culla» che vuole che i governi muoiano quasi sempre nel ramo del parlamento dove sono nati – sarà convocato dopo ferragosto, al più presto il 20. La tentazione di deputati e senatori è ovviamente quella di raffreddare i ritmi. Solo dopo il voto di sfiducia (certo) Conte dovrà dimettersi e Mattarella aprirà un giro di consultazioni che, anche rapidissimo, richiederà comunque due o tre giorni per una decisione.

IL VIMINALE. Quale potrebbe essere la decisione di Mattarella? È l’altra incognita di rilievo, e non perché siano in discussione le elezioni anticipate, ma perché c’è una partita parallela che riguarda la gestione di quel voto. Al presidente sono già arrivate le preoccupazioni di chi non vede di buon occhio che sia un ministro dell’interno, sfiduciato come tutto il governo, artefice delle crisi e candidato premier (oltre che campione di una gestione disinvolta delle istituzioni) a guidare la macchina del voto dal Viminale. L’unica alternativa sarebbe quella di un governo di scopo, persino senza la fiducia del parlamento, la cui nomina però allungherebbe fatalmente i tempi.

LE INCERTEZZE. Per quanto improbabile, la via di un incarico esplorativo (a uno dei presidenti delle camere) o di scopo (a un ministro in carica, che viste le partite aperte potrebbe essere il ministro degli esteri o dell’economia) non si può tassativamente escludere. Certo è che se si facesse come vuole Di Maio, approvare definitivamente il taglio dei parlamentari (il rischio non può dirsi ancora del tutto scongiurato), i tempi del voto si allungherebbero molto. Di almeno cinque mesi se nessuno chiedesse il referendum confermativo, e di almeno altri quattro se invece quel referendum si dovesse tenere. Come sempre le crisi politiche si sa come cominciano ma non come finiscono ed è probabilmente per questo che Salvini ha esitato ad aprirla. Forse, dal suo punto di vista, ha esitato troppo.