Infine venne il Sudan. Come un treno a lunga percorrenza che si è riempito a dismisura solo nell’ultimo tratto, quando aveva già accumulato alcuni anni di ritardo.

Troppo tardi per il celebre cantante Mohammed Wardi, che aveva segnato con la sua voce mobilitante sia l’”Ottobre verde”, la rivoluzione innescata nel 1964 dagli universitari di Khartoum contro il regime militare di Ibrahim Abboud, sia la rivolta popolare del 1985 che rovescerà Jafa’ar Nimeri. Scomparso nel 2012, si è perso un altro momento storico in cui la musica, a cominciare dalla sua, ha avuto un ruolo non complementare.Se non come i versi di Obeid Abdul Nur, che negli anni ’20 incitavano alla rivolta contro l’occupazione britannica, quasi. Musiche e testi come  laboratorio di speranza, autostima, unguento curativo.

 

 

Certo poca cosa, rispetto alla posta in gioco e all’ultimo tributo di sangue versato a un regime di tipo islamo-militarista – convinto ancora oggi di poter dare le carte avendo sacrificato dopo quasi 30 anni il suo leader Omar al Bashir – che solo tra le sue vittime collaterali ha riservato un posto alla musica, nel senso libero del termine. In un clima di guerre permanenti interne e sfavorevoli rovesci della storia all’esterno, la scena fiorita negli anni ’80 è stata purgata con cura nel successivo trentennio, sia che fosse veicolo di attivismo politico o che semplicemente alzasse il tasso alcolico nei locali notturni in riva al Nilo.

E allora anche la musica è riesplosa, negli oltre 8 mesi che è durata l’ultima “primavera” sudanese: dalla strada alla rete, negli slogan scanditi dal battito dei tamburi e nelle chat condivise, gli originali di Wardi e le cover moderne di Zoozita, un florilegio di artisti trap e hip hop alimentato anche dalla diaspora, l’audio degli ultimi discorsi di al Bashir sbriciolato nei beat elettronici di improvvisati sound designer

 

 

Ed era ujn colossale coro popolare quello diretto dalla studentessa 22enne Alaa Salah, immortalata sul tetto di un’automobile con addosso gli occhi di una folla enorme, altra immagine simbolo che ci ricorda invece il ruolo delle donne in questa sollevazione – questo sì imparagonabile rispetto alle precedenti.

Dal dicembre 2018, con le prime proteste per il caro-pane, fino alle drammatiche trattative con la giunta militare dell’estate del 2019 In mezzo una serie ostinata di manifestazioni che hanno rivoltato il paese, una moltitudine sempre più organizzata di sigle sociali, partiti di opposizione, confederazioni sindacali, associazioni comunitarie, professionali, femminili che ha sfidato la repressione prima e dopo al Bashir.

 

Khartoum, 3 giugno 2019

 

Il “dopo” sta anche nella strage di almeno 100 inermi partecipanti al sit-in permanente che era sorto di fronte al quartier generale dell’esercito quando divenne chiaro che i militari volevano tenersi il potere con un’operazione cosmetica. Ultima immagine, i corpi straziati dei manifestanti gettati nel Nilo dalle Special Rapid Forces. Gli eredi dei janjaweed , già sinonimo di ferocia in Darfur. Dove si è ricominciato a morire proprio in questi giorni, non appena ultimato il ritiro dei caschi blu.

Dopo l’’intesa faticosamente firmata nell’agosto 2019, un mix ragionevole di rivoluzione e golpe per una mostruosa transizione condivisa civili-militari della durata di 3 anni e tre mesi, l’economista-premier Abdalla Hamdok e il generale Abdel-Fattah Burhan per riavviare la macchina arrugginita da quasi 30 anni di embargo non hanno badato a spese.

Anche in termini simbolici, il costo finale del pacchetto prendere-o-lasciare offerto da Trump per tirare fuori il Sudan dalla dalla lista dei paesi che sostengono il terrorismo, che include anche 350 milioni per le vittime degli attacchi alle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania, rischia di essere molto più alto. Senza che siano previsti sconti particolari per l’ok alla consegna di al Bashir alla Corte penale internazionale, che ha condannato l’ex presidente per genocidio e crimini contro l’umanità in relazione alle guerra del Darfur.

Accelerato dall’ansia di uscire dall’isolamento e riagganciare il paese al sistema della finanza globale, il sì agli Accordi di Abramo ha incenerito una radicata “sensibilità” del Paese nei riguardi della causa palestinese. Molti sono tornati in piazza, per questo,  percependo nella giovane “primavera” sudanese un brusco calo della temperatura.