Uno dei protagonisti dell’anno che verrà è senz’altro Vincent Van Gogh: a Milano si aprirà una grande mostra dedicata al pittore olandese e, intanto, presso la Fabbrica del Vapore si può «assaggiare» una visione virtuale delle sue opere, attraverso un tour multisensoriale e immersivo, un po’ in stile «parco a tema». A lui, Einaudi ha dedicato un corposo volume di Lettere (a cura di Cynthia Saltzman, pp. XLV – 768, euro 85,00). La corrispondenza dell’artista (con il fratello Theo, con Gauguin e altri amici) ha una valenza particolare: non solo autoritratto per riempire il puzzle della sua travagliata biografia, le lettere di Van Gogh rappresentano anche dei taccuini progettuali. È lì, tra quelle sofferte righe, che nascono alcuni capolavori, lì che la creazione si fa febbrile prima attraverso le parole, poi spremuta direttamente dal tubetto in colori brucianti. La lettura permette di entrare nei recessi emotivi di un genio mai reticente, pronto a predicare la sua passione pur di renderla visibile a se stesso e poi agli altri.

Molto interessante è anche rovesciare la prospettiva: per questo esercizio filologico, torna utile il libretto della casa editrice Torri Del Vento Verranno giorni migliori. Lettere a Vincent Van Gogh (euro 18): per la prima volta, vengono qui raccolte trentanove missive che Theo spedì al suo fragile fratello. Ce ne sono anche alcune della cognata Joanna e di Paul Gauguin: risultato, un «plot» affascinante che si svolge dentro i misteri della mente.

Divertente e per nulla pedante, anzi molto intraprendente, è il volume di Camille Paglia Seducenti immagini (pp. 294, euro 34, Il Mulino) che prende di mira l’«espansione inebriante della comunicazione globale» per scrivere una storia dell’immaginario visivo che butti giù dal piedistallo alcuni miti (le Madonne di sterco di elefante di Chris Ofili, per esempio) e riprenda le fila di quadri poco noti, come l’Andrea Doria del Bronzino, Il mare di ghiaccio di Friedrich o una foto come Chillin’ with Liberty di Renée Cox. Diviso per capitoli – uno è tutto dedicato ai boots (stivali) di Eleonor Antin, un altro ai fulmini di Walter De Maria, uno al Ritratto del ’35 di Magritte (un piatto apparecchiato in tavola con una fettina di prosciutto al cui centro campeggia un occhio umano) – ha un andamento libero da cronologia e nessuna ansia compilatoria: le opere sono aggregatrici di senso ed è intorno a loro che si costruisce una strada concettuale.

Per saperne di più, c’è anche L’arte contemporanea del secondo Novecento di Alessandro Del Puppo (pp. 255, euro 34, Einaudi) in cui l’autore, fin dall’inizio, annuncia la difficoltà – se non l’impossibilità di scrivere una narrazione coerente del contemporaneo. Qualcosa, infatti, dagli anni Sessanta in poi, è mutato definitivamente, ma non tutto è perduto: Rebecca Horn trasformava una ragazza in unicorno in una celebre performance richiamandosi ai bestiari medievali, così come l’allucinata ritrattistica di Cindy Sherman può ricordare – nelle pose e nel vestiario, spesso proprio per mimesi e travestimento – alcuni capolavori fiamminghi. Dopo il «congedo dal modernismo» e il «fattore Duchamp», la storia ha voltato pagina. Per sfogliarla con una qualche perizia, bisognerà far proprio il linguaggio del mondo e indagare su un’ontologia della creazione che tenga conto di oggetto, soggetto, percezione, contesto sociale e antropologico. Non è poco come banco di prova.

Per guardare intensamente al sempre sorprendente – in senso buono e cattivo – Damien Hirst è, invece, necessario il volume-catalogo Relics (pp. 306, 162 a colori, euro 60, Skira, a cura di Francesco Bonami). Nata a côté di una mostra a Doha, in Qatar, è una monografia lussuosissima che riunisce oltre cento opere dell’artista inglese, dai celebri animali in formaldeide (squali, mucche, pecore) alle pillole delle sue Pharmacy, fino alla vanitas e ai memento mori resi attuali dalle ali di farfalle composte in forme geometriche o dai teschi tempestati di diamanti. Per una full immersion «british» si consiglia di prendere in visione anche il libro Interviste agli artisti inglesi di David Sylvester (Castelvecchi, pp.221, euro 29). Qui si viaggia in compagnia di Gilbert & George, Bridget Riley, Tony Cragg, Douglas Gordon, Rachel Whiteread. Sempre Skira, propone anche un’altra monografia di pregio: è dedicata a Agostino Bonalumi (euro 59) che, insieme a Manzoni e Castellani, si avviò in direzione dell’azzeramento del linguaggio, facendo riferimento alla rivista Azimuth.

Un uomo privato e pubblico è quello che si racconta nelle pagine di La voce di Michelangelo Pistoletto pubblicato da Bompiani (euro 35): un libro ricco di immagini e foto di famiglia per seguire, con l’aiuto di Alain Elkann, l’intervistatore, la storia di un ragazzo che cominciò a restaurare quadri antichi nella bottega paterna per poi divenire uno dei punti di riferimento dell’arte contemporanea.

Da non perdere, è poi l’uscita in due volumi di una Storia dell’arte dell’India. È un excursus nelle creazioni del subcontinente: qui ci si inoltra lungo i sentieri di millenni di cultura, frugando fra tombe reali, architetture templari e decorazioni indo-islamiche. È un affresco corale (pp. 794, euro 76 per entrambi i volumi Einaudi, a cura di Cinzia Pieruccini che insegna indologia presso l’Università degli Studi di Milano) che parte dalle creazioni dell’India classica, quelle relative all’epoca Gupta (IV- VI secolo). Il tutto passando per un tripudio di materiali e tecniche raffinatissime: avori, terracotte, statuette votive come le bellissime spose dei Sette Rishi, monumenti grandiosi e antichi siti buddisti come quello di Karla che si compone di sedici grotte, i Giardini dei Lodi di Delhi, le celebri miniature di Bikaner dove alla fine del Cinquecento sorgevano importanti laboratori di pittura che continueranno la loro produzione fino al XIX secolo. Ci sono poi i templi del Kerala con i loro caratteristici tetti a falde, unici nel loro genere, e le chiese della vecchia Goa che mostrano un sincretismo di stili occidentali e orientali: coincidono con il periodo di dominazione portoghese. Si arriva infine al Novecento, chiudendo il percorso su due declinazioni della pittura murale, al femminile: i dipinti della regione di Madhubani e quelli della comunità tribale dei Warli, gli «abitanti originari».