Il 18 ottobre 1990 l’Italia venne a conoscenza di Gladio, ovvero dell’esistenza, per quasi quarant’anni, di una struttura armata segreta composta da civili e militari, costituita allo scopo di difendere il territorio nazionale nel caso di invasione di un esercito straniero. A rivelarlo fu l’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti con una relazione alla Commissione stragi dal titolo Il cosiddetto Sid parallelo-Operazione Gladio. Le reti clandestine a livello internazionale. Questa struttura era stata creata il 28 novembre 1956 a seguito di un accordo tra il nostro servizio segreto militare, il Sifar (Servizio informazioni forze armate) e la Cia statunitense, nell’ambito dell’allestimento in tutti i paesi dell’Alleanza atlantica di organizzazioni simili. L’operazione assunse il nome convenzionale di Stay Behind («Stare dietro»), mentre la specifica rete italiana fu chiamata Gladio. A livello politico gli unici ad essere informati della sua esistenza erano stati i presidenti del Consiglio e i ministri della Difesa.
La rivelazione ebbe una risonanza a dir poco fragorosa dando avvio a uno scontro politico e istituzionale senza precedenti che proseguì per diversi mesi e che portò, tra l’altro, alla richiesta di impeachment nei confronti dell’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che aveva orgogliosamente rivendicato, in quanto sottosegretario alla Difesa tra 1966 al 1970, il suo «concorso» alla formazione di Gladio attraverso la selezione «del personale militare che veniva inviato all’addestramento». In una larga parte dell’opinione pubblica si credette di aver finalmente trovato il riscontro dell’esistenza di quella centrale terroristica che accomunava organizzazioni eversive fasciste e settori dello Stato cui far risalire i tanti misteri d’Italia. Una bufera che fu al centro di moltissime sedute della Commissione stragi e spinse ben cinque procure a istruire procedimenti giudiziari su possibili deviazioni eversive dei responsabili di questa struttura. Struttura che fu formalmente sciolta, anche a seguito di queste accuse, il 27 novembre 1990, con un decreto dell’allora ministro della Difesa Virginio Rognoni.

La sezione Calderini

La storia di Gladio e delle altre organizzazioni militari segrete che la precedettero è al centro della ricerca di Giacomo Pacini Le altre Gladio. La lotta segreta anticomunista in Italia. 1943-1991 (Einaudi, pp. 329, euro 31), che in realtà riprende e arricchisce un lavoro di qualche anno prima (Le organizzazioni paramilitari nell’Italia repubblicana, uscito nel 2008 per Prospettiva editrice).
Pacini ricostruisce, sulla base di una ricca documentazione, tratta da archivi istituzionali e giudiziari, come in realtà Gladio sia stata il punto di arrivo di un percorso i cui primi passi si debbono addirittura far risalire ai giorni successivi l’8 settembre 1943, quando all’interno del neonato servizio segreto badogliano (l’Ufficio informazioni) si formò la cosiddetta Sezione Calderini, operante con azioni di guerriglia e sabotaggio, attraverso nuclei clandestini dietro le linee dell’esercito tedesco. Una vicenda misconosciuta. Fatto sta che i principali futuri responsabili della creazione di Gladio si formarono proprio all’interno di questa esperienza. Solo l’inizio di una storia che ebbe come teatro principale il Friuli-Venezia Giulia dove, durante la Resistenza, nel fuoco del contrasto tra i partigiani comunisti delle brigate Garibaldi e i partigiani cattolici della Osoppo, presero corpo, per iniziativa proprio di quest’ultimi, fin dall’estate del 1945, alcune prime strutture contro la «minaccia slavo-comunista», composte da ex partigiani bianchi ed ex militari, che furono successivamente supportate segretamente dal governo italiano.
Già all’inizio del 1947 da queste embrionali organizzazioni si formò la Osoppo-Terzo Corpo volontari della libertà dalla quale scaturirono le prime unità di Gladio. A tal fine, nel 1946, fu creato dall’allora ministro dell’Interno Mario Scelba l’Ufficio zone di confine, per finanziare segretamente, dietro il paravento del sostegno ai profughi di quelle terre, proprio queste formazioni paramilitari. Organizzazioni che nella prima metà degli anni Cinquanta assunsero la denominazione di Gruppi di autodifesa. Spesso bande di nazionalisti estremisti, come il circolo Cavana e il circolo Stazione, in cui furono reclutati numerosi neofascisti (nel 1953 il prefetto di Trieste in una nota riservata a Palazzo Chigi parlava addirittura di trecento missini), che si resero responsabili di innumerevoli violenze e anche diversi omicidi ampiamente documentati. In prima fila, elargendo cospicue cifre tratte da fondi riservati della presidenza del Consiglio, l’allora sottosegretario Giulio Andreotti.

Eserciti clandestini

Gladio nacque formalmente solo il 28 novembre 1956, sotto la supervisione dei servizi segreti statunitensi, attraverso un accordo segreto tenuto nascosto al Parlamento ma anche a gran parte del governo. L’allora ministro della Difesa Paolo Emilio Taviani ne fu a tutti gli effetti il vero regista. Tale struttura clandestina si dotò di un centro di addestramento in Sardegna, a Capo Marragiu, vicino Alghero, totalmente finanziato dagli americani, dove vennero inviati consistenti armamenti, contenuti in speciali involucri infrangibili, che a partire dal 1963 furono interrati in appositi nascondigli con il nome convenzionale di Nasco, quasi tutti localizzati nel Nordest. Ben 139 depositi segreti con armi portatili, munizioni, bombe ed esplosivo plastico C4. Dentro a Gladio confluirono praticamente tutte le organizzazioni paramilitari che erano esistite fino alla metà degli anni Cinquanta, compreso il Maci (Movimento avanguardista cattolico italiano), una rete militare anticomunista sorta in Lombardia ad opera della Democrazia cristiana e delle gerarchie cattoliche.
Che Gladio nel corso degli anni avesse deviato dalle sue finalità originali è stato storicamente accertato. Si crearono al suo interno addirittura strutture parallele e incontrollate, con «gladiatori» (circa un migliaio) reclutati «privatamente» da alcuni alti ufficiali e i cui nomi non vennero mai resi pubblici. Un esercito ancora più clandestino che fu attivato con tanto di direttive, nell’estate del 1964, dal generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo all’interno di quel progettato colpo di Stato che passò alla storia come il Piano Solo. Con l’operazione Delfino, nel 1966, si arrivò invece a prospettare contro il Pci operazioni di «disturbo di comizi e manifestazioni», «azioni di intimidazione», nonché «atti di terrorismo» da addebitargli provocatoriamente.

La difesa dello Stato

La tesi di Pacini che Gladio in realtà non sia stata quella cabina di regia del terrorismo nero e della strategia della tensione, come si sospettò da più parti, risulta condivisibile, per quanto gruppi di neofascisti organizzati fossero stati reclutati al suo interno e ne avessero utilizzato gli armamenti. Si pensi al saccheggio del Nasco di Aurisina, vicino Trieste, e soprattutto al ritrovamento di residui di esplosivo T4 (una componente del C4 presente nei depositi) in relazione all’ordigno della strage di Peteano del 31 maggio 1972. Anche il sospetto che le rivelazioni di Andreotti in realtà fossero servite per fare di Gladio un «parafulmine» e coprire le responsabilità di altre strutture, come i Nuclei per la difesa dello Stato, nati alla metà degli anni Sessanta e attivati da settori delle forze armate, entro i quali operarono i militanti di Ordine nuovo, materialmente responsabili degli eccidi di piazza Fontana e piazza della Loggia, troverebbe più di un riscontro.
Una ricerca, in conclusione, quella di Pacini, assai utile, pur in presenza di analisi e giudizi smaccatamente filo occidentali, compresa la presunta «legittimità» di Gladio nel contesto della Guerra fredda, più che discutibile.