Il romanzo di Isabella Borghese (Dalla sua parte, Edizioni Ensamble, pp. 192, euro 15) è sul dolore e il disagio psichico. Seguendo le vicende di Francesca, protagonista del romanzo, si ha infatti l’opportunità di entrare in empatia con la sofferenza, con il rimosso, di guardare con attenzione e senza tabù, quella che tra le possibili patologie dell’essere umano è ancora oggi, a più di trent’anni dalla legge Basaglia, la più nascosta di tutte: il disagio psichico. Dalla sua parte è la storia di una donna il cui padre è affetto da un grave disturbo bipolare e spesso alle prese con problemi di alcolismo. La vita di Francesca è una vita normale, eppure dietro ogni momento della sua «normalità» si nasconde l’ombra del suo contrario. In ogni fase della sua vita, sente il peso del disagio che le è capitato in sorte. Francesca incontra dapprima l’arte e le sembra di aver trovato una via d’uscita. Scoprirà che per lei non è così. Poi prova ad innamorarsi, ma sempre con difficoltà. Vive ogni circostanza accompagnata da paure profonde. Fugge da se stessa e dagli altri, rimanendo costantemente in un limbo emotivo. Anche il rapporto con la madre è inizialmente conflittuale. Francesca prova ad attribuire a lei la responsabilità della situazione familiare, ma comprende che non è così.
Il romanzo, oltre ad essere scritto bene, è importante perché parla della malattia mentale e delle difficoltà, spesso vissute in una condizione di quasi totale segretezza e ancora ai margini della vergogna pubblica, dei singoli e dei loro familiari. È paradossale che proprio in un periodo di alto disagio sociale come questo, dove tutti gli studi di settore vengono a dirci dell’aumento di patologie psichiche e del conseguente incremento nel consumo di farmaci antidepressivi, regni assoluto il silenzio intorno a questi argomenti. Appare irrimandabile riprendere lo straordinario cammino di libertà iniziato proprio con Franco Basaglia più di trent’anni fa. Il merito di questo romanzo è dunque la capacità proprio di affrontare il disagio psichico, descrivendo la convivenza con esso con competenza e sensibilità. Apprezzabile è anche l’idea di presentare il libro nelle scuole, ai bambini, «perché proprio alla loro età cominciano a conoscere problematiche familiari analoghe e solo con la condivisione della loro esperienza possono iniziare a sentirsi compresi», ha dichiarato l’autrice. Condividere dunque, piuttosto che chiudere nella segretezza, che prima era garantita dai muri dei manicomi e ora da quelli domestici.