Giorni intensi, a Lisbona, per il cinema e il video. «Indielisboa», il festival cinematografico internazionale che si tiene solitamente in primavera, per via degli slittamenti imposti dalla pandemia si è svolto nelle settimane fra la fine di agosto e il 9 settembre, nelle belle sale di alcuni cinema cittadini e della Cinemateca, sempre affollate, pur col dovuto distanziamento. Decine e decine di film, video, incontri, sezioni collaterali, retrospettive, competizione nazionale e internazionale.

A fine agosto si tiene invece solitamente Fuso, il festival internazionale di videoarte che, svoltosi nel 2020 solo a distanza, ha ritrovato la consuetudine delle serate nei chiostri e negli spazi verdi della città, anche se le cautele sanitarie hanno eliminato la distribuzione agli spettatori di calde coperte contro la fresca aria del vicino oceano, di bicchieri di vino e di dolci. Come sempre, il festival è inserito nelle manifestazioni di «Lisboa na rua», fra musica, cinema all’aperto, danza, teatro, arti plastiche fino a settembre inoltrato, in una città meno affollata di turisti, sempre – e forse ancor più – incantatrice.

«Na fronteira»: sulla frontiera. Questo il tema generale della rassegna. Frontiere geografiche, ambientali, politiche, di genere, frontiere mobili e fluide fra generi e narrazioni. La programmazione del festival ha dovuto modificarsi: un solo programma serale, invece dei due canonici: programmi comunque densi, accompagnati da conversazioni con i curatori e le curatrici. Monografie o serate a tema, a loro volta diversificate. Come «Volo libero», programma curato da Daniela Labra (Brasile) su vari aspetti della videocreazione attuale fra questioni planetarie e attenzione al mondo naturale.

La natura è uno dei fili potenti che legano l’intreccio dei temi di Fuso e che corre da una sezione all’altra, da una serata a quella successiva, in modi diversi e con forme espressive differenti. Agustin Pérez Rubio, Madrid, curatore internazionale (fra l’altro, anche del padiglione cileno della Biennale d’arte di Venezia 2019) ha presentato una rassegna intitolata «Lingue di fuoco. Contro-narrazioni sessuodissidenti alla ferita coloniale» in cui le questioni dell’identità di genere, transgender, queer, le nozioni di frontiera, di fluidità, di transito, si intrecciano con un approccio politico: la lotta alla violenza e alla segregazione anche corporale, anche di genere, anche di classe che hanno caratterizzato secoli di dominazione coloniale, e non solo, fra pseudoscienza, sessuofobia e razzismo.

«Corpi dissidenti», quindi, narrati in video che esplorano i traumi o raccontano episodi reali o che, come Crudo (2021), dell’argentina Bartolina Xixa, mettono in scena una danza immobile, «grido silenzioso» in bilico sul bordo dell’emarginazione: «come danzatrici e come queer abbiamo deciso di fermarci…fermiamo il movimento commerciale degli usi e abusi delle nostre estetiche da vendere nei loro mercati…».

Politico anche il taglio del programma («Avant l’existence») curato da Susana de Sousa Dias, cineasta portoghese indipendente che ha realizzato straordinari lavori con ricerche d’archivio sulla dittatura di Salazár e, più recentemente, su Fordlandia in Amazzonia (dove attualmente si trova per proseguire la sua indagine). Ha presentato una ricerca condotta da «Architettura forense», Gran Bretagna: un gruppo di artisti e artiste, architetti, avvocati che usa e «svia» le più attuali tecniche investigative (quelle, per intenderci, diffuse dalle serie TV sulla «scena del crimine») per un accurato lavoro video di controinformazione e di denuncia delle violazioni dei diritti umani. Cinque opere fra arte, politica, ricerca sensoriale, che vogliono rendere visibili (e udibili), con prove inoppugnabili, fatti che i media e l’informazione ufficiale tengono nascosti.

Dalla Turchia a Gaza fino alla zona di frontiera a Calais. Lory Zippay, pioniera della diffusione della videoarte con Electronic Arts Intermix a New York, ogni anno presenta a Fuso una attesissima ricognizione: stavolta la retrospettiva è stata dedicata a Barbara Hammer (1939-2019), pioniera statunitense del cinema sperimentale, femminista e queer.

«Il mio lavoro – scriveva – rende visibili i corpi e le storie invisibili. Come artista lesbica, ho trovato davvero poche rappresentazioni, e così ho messo la vita lesbica su questo schermo vuoto, per lasciare una traccia culturale alle generazioni future.» Dagli inizi degli anni Settanta si è mossa fra uso politico e personale del cinema e del video, video-saggio e autobiografia, più recentemente anche con una dimensione installativa e performativa; impegnata e battagliera fino all’ultimo (condividendo anche il percorso della propria malattia) e in costante dialogo con giovani artisti e artiste: come attesta, presentato a Fuso, il suo Generations, del 2010, toccante, vitale ritratto della collaborazione con Gina Carducci: una settantenne, l’altra trentenne, scoprono e riscoprono il piacere di un cinema libero e personale. A ritroso, la rassegna di Hammer ha presentato anche Sisters! (1973), con preziose riprese di manifestazioni femministe e della conferenza delle donne lesbiche alla UCLA: un gioioso montaggio di energie in cammino.

La competizione nazionale, curata da Jean-François Chougnet (direttore di Fuso con Antonio Camara, mentre il coordinamento è affidato a Rachel Korman) è sempre il momento più affollato di FUSO: aperta anche a portoghesi residenti all’estero o ad artisti residenti in Portogallo, si svolge nella serata inaugurale e nei grandi spazi del MAAT, lungo il Tago. Mai come quest’anno tante opere arrivate (forse complice la clausura della pandemia): oltre 200, con 16 selezionati.

Più meditative, in genere, in questa edizione, le opere, con un costante richiamo all’ambiente naturale e al paesaggio, e il ricorso alle metafore del gesto, della danza, fra poesia e dimensione pittorica: come in Lapso, di Sofia Arriscado e Costanza Givone (2021), cui la giuria (tutta al femminile quest’anno) ha assegnato il premio; premio del pubblico a Passagem, di Tania Dinis, sul volto cangiante e smarrito della nonna dell’autrice, colpita dall’Alzheimer. Come si vede, il tema della frontiera lambisce anche i confini felicemente incerti di quel che chiamiamo «videoarte».

Negli stessi giorni si visita la bella mostra di Pedro Vaz «La vida sensible», fra video e pittura (ancora una volta il dialogo col mondo naturale); e arriva anche il giallo furgone con cui è iniziata l’avventura di «Loops en movimiento» un percorso di proiezioni en plein air delle opere selezionate dal network internazionale di Loops.

Expanded, nato nel clima vivace e conviviale di Fuso e dedicato a opere video basate su un’idea «espansa» della forma ripetitiva del loop: Madrid, Malpartida de Caceres, Oeiras, infine Lisbona appunto, dopo varie presentazioni anche in festival e sedi europee (www.loops-expanded.com). Anche il video si rimette in cammino.