Ultimo dei riciclaggi in real life dalla seconda età d’oro dell’animazione Disney, Aladdin è – nelle parole del critico del «New York Times» A.O. Scott- un film «non del tutto terribile ma la cui non ragione di esistere colpisce in modo particolarmente aggressivo». In realtà il film di Guy Richie (campione d’incassi al primo week end nelle sale Usa) oltre che immotivato, è abbastanza terribile.

A PARTIRE dall’idea di affidare un racconto da Le mille e una notte a un regista che ha dato il meglio di sé in sboccate commedie proletarie inglesi e ha fatto carriera trasformando Sherlock Holmes in un action movie, l’operazione emana cinismo e un’ispirazione dettata dagli algoritmi. Frenetica come gli inseguimenti su e giù per tetti e vicoli delle cittadina mediorientale di Agrabah (che includono approssimazioni digitalizzate delle acrobazie di Douglas Fairbanks in Il ladro di Baghdad) l’ansia di mettere Aladino al passo con i tempi, culturalmente parlando.

Richie polverizza qualsiasi possibilità di Disney magic in scene d’azione accelerate al massimo, scenografie piene fino a scoppiare e in un uso del colore stranamente in bilico tra il lisergico e lo sbiadito (tra le cose migliori dell’Aladdin animato c’era proprio la palette cromatica). Al cast quasi interamente bianco del cartoon se ne sostituisce uno giudiziosamente multietnico – Mena Massoud (Aladino) è egiziano, Naomi Scott (la principessa Jasmine) ha una madre ugandese di origini indiane, Marwan Kanzari (il visir Jafar) è tunisino/olandese e l’afroamericano Will Smith eredita il ruolo del genio della lampada che fu di Robin Williams.

FUNZIONA molto meno della neo-introdotta varietà nella provenienza degli attori «l’attualizzazione» della principessa. La Jasmine del nuovo Aladdin (Scott ricorda Buffy/Sarah Michelle Gellar, solo più petulante) non vuole solo sposarsi, ma ereditare il trono di suo padre e governare il califfato. Così, alle belle canzoni di Alan Menken dell’originale del 1992, si aggiunge un temibile solo «femminista» dal titolo I Can’t Stay Silent, che Jasmine intona con una convinzione da Celine Dion. Nemmeno la congenialità di Will Smith (così diversa dallo spirito maniacale di Robin Williams) ce la fa a dare energia al film. Anche il suo genio è sgonfiato.