A seguito dell’attacco Wannacry, vista la richiesta di un riscatto in Bitcoin da parte degli hacker, alcuni avevano ipotizzato un possibile crollo di valore della criptovaluta nei giorni seguenti, probabilmente a causa di una mancata fiducia nella moneta virtuale più famosa del mondo, o per un accostamento di questa a settori criminosi. Nulla di più falso. Nell’ultima settimana di maggio, rispettivamente il 22, il 24 e il 25 maggio, il Bitcoin ha visto salire per la prima volta il proprio valore sopra la soglia dei 2200, dei 2400, poi dei 2700, vedendo una delle settimane di impennata maggiore da quando è nato, scendendo poco dopo ai 2400 per poi risalire di nuovo e superando i 3000 dollari il 12 giugno.

INVENTATO NEL 2008 da uno sconosciuto con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, il Bitcoin è caratterizzato sicuramente da una forte volatilità come tutte le criptocoins, avendo però raggiunto negli anni un traguardo di diffusione nettamente maggiore rispetto le altre. Seppur considerata dai suoi apologeti come un mezzo di emancipazione dalle Banche Centrali per il suo sistema distribuito, se non addirittura un equo mezzo di redistribuzione, una prima critica alla cripto-utopia viene dal fatto che la produzione di monete avviene tramite mining, un processo di estrazione nel quale, grazie ad una grossa capacità di calcolo, viene forzato lecitamente un sistema crittografico, le cui chiavi sono frazioni di moneta. Questo significa innanzitutto che, seppur non siano ancora tutte in circolazione, le monete esistono potenzialmente in una quantità massima, raggiungibile presumibilmente attorno il 2100; inoltre le capacità estrattive di bitcoin sono conseguenza diretta di disponibilità di capitale iniziale: chi ha iniziato a minare nei primi anni ha fatto la fortuna, mentre ora per diventare ricchi nel mondo dei bitcoin si deve disporre di grosse macchine, quindi di una grande ricchezza in senso classico. Guardando le forti oscillazioni nel tempo del Bitcoin, ci si accorge che i picchi corrispondono ai passaggi cruciali di riconoscimento del mercato classico nei confronti delle criptovalute: dall’ok della Banca Popolare Cinese nel 2013 al riconoscimento delle criptovalute negli anni successivi da parte di Dell, Microsoft e Steam, fino all’ultimo aprile, quando il Giappone ha riconosciuto il bitcoin come metodo legale di pagamento, dimostrando ancora una volta il crescente interesse dell’Oriente nei confronti della criptovalute.

IN RETE si sta molto discutendo del ruolo che potrebbero assumere queste tecnologie nei prossimi anni. C’è chi chiama all’allarme bolla, e chi crede invece che il rischio esplosione esista solo sugli orizzonti temporali brevi, mentre su temporalità più lunghe il Bitcoin sia destinato a raggiungere cifre in dollari a sei zeri (chi ha investito 5 dollari in Bitcoin 7 anni fa oggi ha 4,4 milioni). Certo è che grosse fluttuazioni sono normali per una valuta così poco regolamentata a livello giuridico, tanto che in più volte i governi si sono espressi in materia, sollevando le non poche critiche di chi, comunque con spirito capitalista, sogna un mercato svincolato da ferree normative, rendendo così quello delle criptovalute un altro terreno su cui si gioca la feroce partita tra il potere privato e quello statale.