Il suo contributo teorico e in termini di militanza agli studi femministi, all’economia politica e alla sociologia del lavoro la rende una delle figure chiave del femminismo internazionale. Christine Delphy, attualmente ricercatrice e direttrice di ricerca onoraria al Cnrs, è attiva dagli anni Settanta nel Mouvement de Libération des femmes, nel ’69 entra nel gruppo non misto Féminisme, Marxisme, Action. È tra le fondatrici della rivista «Questions féministes» a cui aderiranno anche Monique Wittig e Colette Guillaumin e di cui Simone de Beauvoir divenne direttrice di pubblicazione. La rivista, che in quegli anni divenne luogo di dibattito per una rivoluzione epistemologica del pensiero femminista non solo francese, si costituì come portavoce del femminismo radicale e di quello che da allora venne chiamato «femminismo materialista» (categoria forgiata proprio da Delphy nel ’75).

OMBRE CORTE ha pubblicato Per una teoria generale dello sfruttamento. Forme contemporanee di estorsione del lavoro (pp. 155, euro 13), uno degli ultimi studi di Christine Delphy. L’originale francese del 2015 ha visto l’ottima traduzione e cura di Deborah Ardilli cui si deve anche la necessaria postfazione al testo nonché il profilo bio-bibliografico della sociologa e femminista francese. La prefazione, a opera delle studiose quebecchesi Mélissa Blais e Isabelle Courcy, ci suggerisce la scelta editoriale dell’originaria coedizione franco-canadese Éditions Syllepse e M Éditeur, ma soprattutto ci permette di leggere il pensiero di Delphy tramite voci che, pur francofone, restano di una ricchezza altra rispetto al panorama francese. Le due studiose, percorrendo i temi affrontati nel testo, si soffermano su una questione che Delphy tratta in maniera molto ampia: il ripensamento dei lasciti marxisti nelle analisi delle forme di sfruttamento e il conseguente occultamento delle altre forme di dominio.

Nel testo Christine Delphy riesce a dare una forma inedita all’elaborazione di una teoria generale dello sfruttamento. Riesce a farlo partendo dall’analisi delle modalità di produzione del lavoro domestico. Gli interrogativi di base sono i seguenti: perché, nonostante la maggioranza delle donne lavori, la quasi totalità del lavoro familiare continua a essere effettuato dalle donne? Perché anche quando la partecipazione dei due sessi al lavoro retribuito tende all’uguaglianza, all’interno della famiglia essa resta dissimmetrica?

LA SOCIOLOGA risponde che il lavoro domestico è stato e resta il luogo di sfruttamento e la base materiale dell’oppressione delle donne ed è il mezzo di sfruttamento patriarcale per eccellenza, ancor prima di essere capitalista. La «distribuzione asimmetrica» delle attività domestiche espletate dalle donne è inerente allo status della famiglia eterosessuale.
Partendo da una lettura materialista dei rapporti sociali Delphy sottolinea la necessità di soffermarsi sull’insieme dei rapporti di appropriazione del lavoro, considerando come l’estorsione del lavoro e il ricorso al lavoro gratuito derivino da forme che in Occidente si pensano legate al periodo coloniale o tutt’al più ai lasciti dello schiavismo – modalità estorsiva considerata (a torto) lontana.

Delphy pesa il carattere multiplo delle forme di sfruttamento che gravano sul lavoro domestico delle donne e ravvisa come lo sfruttamento capitalista sia così lesivo proprio perché combinato con i sistemi contemporanei di schiavitù, di memoria feudale. A differenza dello sfruttamento capitalista tuttavia queste ultime ma primarie forme di sfruttamento rimarrebbero invisibili anche nelle analisi economiche, negli ambiti della ricerca universitaria di settore e dell’opinione pubblica: «Si è imposta una doxa che identifica totalmente diversi termini: economia, sfruttamento, capitalismo e classe. Qui l’economia viene intesa nel senso dei classici: si tratta dell’economia di mercato. Lo sfruttamento è economico e, poiché l’economia coincide con il mercato, lo sfruttamento non può che passare attraverso il mercato. I meccanismi di questo sfruttamento sono quelli del capitalismo, che non hanno più niente a che vedere con quelli dei modi di produzione «anteriori», feudalesimo e schiavismo».

In L’ennemi principal 1. Économie politique du patriarcat (Syllepse, 1998), pur riconoscendo l’embricatura di diversi sistemi di sfruttamento nell’oppressione delle donne, Dephy non si serve del concetto di intersezionalità (elaborato da Kimberlé Crenshaw qualche anno prima) come probabilmente ci aspetteremmo, perché secondo la studiosa tale concetto non nominerebbe lo sfruttamento. Come spiega Ardilli nella postfazione «una teoria generale dello sfruttamento sarà invece più portata a sottolineare come il rapporto di appropriazione costitutivo delle classi di sesso sia trasversale e immanente alle stratificazioni di “razza” e di classe (nel senso tradizionale del termine) che caratterizzano una formazione sociale».

SOSTENENDO che la dimensione di classe abbia assorbito le dimensioni di genere e razza Delphy critica anche l’interpretazione della teoria del plusvalore secondo la convinzione che il lavoro domestico femminile – per antonomasia gratuito – non sia«un prodotto esclusivo del capitalismo, né un vantaggio solo per il capitalismo».
Nel 2002 Delphy intitolava un suo articolo: «Le travail domestique ne se partage pas, il se supprime» e spiegava che nel modo di produzione domestico il lavoro (in quanto prestazione gratuita) non possa essere condiviso né ripartito – trattandosi di una forma di sfruttamento tra le parti coabitanti.

Anche in quest’ultimo lavoro ritorna in maniera definitiva sulla questione: «Nel quadro concettuale del modo di produzione domestico, pertanto, è inesatto parlare di ‘divisione dei compiti’ per quanto riguarda il lavoro familiare: di fatto soltanto il lavoro gratuito, cioè il lavoro effettuato gratuitamente per qualcun altro, è lavoro domestico nel senso rigoroso del termine. Il lavoro gratuito è lo sfruttamento economico più radicale. Non possiamo augurarci di ripartire equamente una forma di sfruttamento. L’unica cosa che possiamo augurarci è di fare in modo che nessuno lavori gratuitamente per qualcun altro».