Privatizzare entro un anno i soli treni ad alta velocità e a lunga percorrenza, cioè quelli da cui Ferrovie dello Stato guadagnano. Entrare, e “scalare”, il settore del trasporto pubblico locale su gomma, ben nota passione del presidente del consiglio. E considerare il Ponte sullo Stretto come un’opera ferroviaria. Di più: “Come se fosse una galleria”. Dall’ad del gruppo Fs, Renato Mazzoncini, arrivano tre indizi che fanno prova: il governo Renzi insiste nella strategia di (s)vendere ai privati, attraverso la borsa, i gioielli della corona statale. E di far contenti i ras delle costruzioni con il Ponte sullo Stretto, travestendolo da infrastruttura su ferro per poter contare sui finanziamenti Ue. Al riguardo sono illuminanti le parole del fedele Mazzoncini: “Il ponte costa 3 miliardi e 900 milioni, tutte le infrastrutture dei corridoi ferroviari europei arrivano a 120 miliardi. Quindi il problema non sono i soldi, il ponte è stato sempre gestito come traffico stradale, con costi enormi. Ma trattata come un’opera ferroviaria sarebbe diverso”.
Così è se vi pare. Nel mentre il governo fa presentare ai vertici delle Ferrovie un megagalattico piano decennale, nel quale sono confermate opere fortemente discusse dalle popolazioni come il Terzo Valico (cioè la Tav Milano-Genova), e naturalmente la Torino-Lione con lo sventramento della Val di Susa. Poi, per tacitare le Regioni che sul trasporto locale (pendolari e studenti) si svenano da anni, per supplire alla strategia “Tav oriented” delle Ferrovie di Moretti e oggi di Mazzoncini, arriva il contentino della commessa già avviata per 450 nuovi treni regionali. Con i primi, previsti nel 2019, destinati all’Emilia Romagna fedele alla linea su cui Renzi tanto spera in vista del referendum costituzionale.
E il sud? Anche qui tutto ad alta velocità, con l’annuncio di Mazzoncini di voler aprire i cantieri sulla Napoli-Bari, sulla Palermo-Catania-Messina, e sulla Salerno-Reggio Calabria “che dovrà essere potenziata per lo sviluppo della Napoli-Palermo”. Con annesso Ponte sullo Stretto, così i centristi di Angelino Alfano saranno contenti. Poco o nulla invece sulle disastrate linee locali e periferiche del meridione, quelle che resteranno in carico alle Ferrovie (controllate al 100% dal Tesoro) dopo la (s)vendita del ghiotto boccone delle Frecce. In altre parole: socializzare le perdite – compresi i necessari investimenti sulla rete che resterà pubblica – e privatizzare i profitti.
“L’ipotesi su cui stiamo ragionando è una quotazione non inferiore al 30% – spiega Mazzoncini – e abbiamo ipotizzato di dividere Trenitalia in due, con la divisione della lunga percorrenza, ovvero Frecce e Intercity. Questa divisione oggi ha un fatturato di 2,4 miliardi che può crescere nel Piano fino a 3 miliardi, un Ebitda di 700 milioni che possono diventare un miliardo. L’appeal è molto evidente”. A ruota la presidente Fs, Gioia Ghezzi: “I tempi della quotazione di Fs sono quelli tecnici per portare a termine la quotazione, quindi a un anno da oggi, nel 2017”. Quando poi le fanno notare l’assenza di Pier Carlo Padoan, titolare del Tesoro, Ghezzi puntualizza: “Non saremmo venuti qui a presentare l’Ipo se non ci fosse perfetto allineamento con l’azionista”.
“La quotazione deve essere un mezzo per lo sviluppo dell’azienda e non un fine”, prova a dire Mazzoncini guardando alle prime reazioni sindacali. “Particolarmente delicato e complesso – fanno sapere Filt Fit e Uilt – si presenta il tema della cessione di quote di proprietà del ministero dell’economia, tema che suscita più di una perplessità”. Più diretto Matteo Mariani dell’associazione “In marcia”, che edita la storica rivista dei macchinisti Fs “Ancora in marcia”: “Si lascia quello che costa a carico dello Stato. Mentre si dà ai soliti noti quello che rende, ò può rendere”.
Fra gli obiettivi delle Ferrovie c’è anche il settore del trasporto pubblico locale su gomma. Insomma sugli autobus, giudicati come terreno fertile anche grazie al decreto Madia che, in spregio al referendum del 2011, “liberalizza” tutte le public utilities, dai rifiuti ai trasporti all’energia: “L’obiettivo è il mercato Tpl – spiega ancora Mazzoncini – cogliendo opportunità in tutta Italia, partecipando a gare e laddove possibile acquisendo operatori strategici”. Sul punto arriva la benedizione diretta di Renzi: “Il piano di Fs è un piano che sa rischiare, che sa guardare al futuro, che tiene insieme l’altissima eccellenza come l’alta velocità, e un’attenzione maggiore per i pendolari che hanno bisogno di nuovi treni e nuovi bus”. Però nella “sua” Toscana la gara c’è già stata. E non l’ha vinta la Busitalia di Fs – subito ricorsa al Tar – che è stata sconfitta dalla francese Ratp. Una società pubblica.