Giovanni Savino è docente di Storia contemporanea presso il Renapa di Mosca. Da oltre 10 anni vive in Russia e studia le dinamiche sociali dei paesi dell’Ex-Urss. Gli ultimi mesi sono stati segnati da una profonda tensione tra Russia e Bielorussia dopo l’incarcerazione del candidato vicino al Cremlino Viktor Babariko e di 33 contractors russi.

Professor Savino pensa che dopo le elezioni Lukashenko e Putin ritroveranno l’intesa?
Difficile dirlo. Dopo le congratulazioni di Pechino, anche dal Cremlino è giunto un telegramma di felicitazioni per Lukashenko, dove però alcuni elementi sono stati evidenziati in grassetto anche dalle due agenzie di stampa governative (Ria Novosti e Tass). Putin auspica un approfondimento dei processi di integrazione nell’ambito dell’Unione di stati (l’organismo sovranazionale tra i due paesi), una crescita significativa delle convergenze tra Minsk e Mosca che si deve riflettere anche nei rapporti politico-militari. Alla luce di quanto accaduto negli ultimi due anni, con l’allontanarsi della prospettiva di una maggiore integrazione tra Russia e Bielorussia soprattutto per volontà di Lukashenko, gli approcci di Minsk agli Usa e all’Unione europea, ma principalmente l’arresto dei 33 contractors della compagnia militare privata Wagner, le felicitazioni sembrerebbero un avvertimento, più che un’espressione di sinceri sentimenti di fratellanza. C’è un fatto nuovo: nelle ultime settimane la stragrande maggioranza dei media russi, anche quelli legati allo stato, ha criticato aspramente Lukashenko, e il tono della copertura degli avvenimenti della notte tra il 9 e il 10 agosto è stato pressoché univocamente critico sia da parte dei media di opposizione come Meduza e Radio Svoboda sia di quelli fedelissimi a Putin, a partire dal primo canale dove la nottata è stata seguita dal conduttore di talk-show Vladimir Solovyov.

Quali sono le caratteristiche dell’opposizione giovanile che si è vista la scorsa notte in piazza?
Emerge un elemento importante: chi era in piazza non sembra legato ai movimenti nazionalisti e di destra (da sempre marginali per una serie di fattori storici in Bielorussia) né tantomeno ad opzioni promosse da strutture occidentali, con buona pace di chi cerca retroscena complottisti. Oggi Lukashenko ha dichiarato che dietro agli scontri ci sarebbero provocatori provenienti dalla Russia e da altri paesi europei, dichiarazione che sembra voler continuare a utilizzare la vicenda dei contractors. In realtà anche Tikhanovskaya, la candidata dell’opposizione, sembra non aver presa su quanto visto in piazza, e potremmo vedere scenari di diverso tipo nei prossimi giorni: da un prosieguo delle azioni di piazza a apparizioni e sparizioni di tipo carsico, ovvero in occasione di momenti di crisi. Di certo si può dire che vi è un elemento inedito, al momento ancora difficilmente classificabile, e che riguardano il futuro del paese nell’era post-covid, dove le essenziali contribuzioni da parte russa potrebbero ridursi considerevolmente a causa della crisi economica.

La diaspora bielorussa potrebbe avere un ruolo in quanto sta accadendo?
Le enormi file all’ambasciata a Mosca rappresentano un elemento nuovo, l’emergere di un sentimento confuso, ma comunque importante e che travalica generazioni, provenienze regionali, e gruppi che vi è in queste giornate. Interessante notare come non vi siano stati azioni da parte delle forze dell’ordine russe, generalmente sempre pronte a disperdere assembramenti non autorizzati, ma ieri essenzialmente ferme a guardare la folla di cittadini bielorussi in attesa del voto che scandivano slogan anti-Lukashenko.