Ricci che fanno la raccolta delle mele, gazze, donnole, tartarughe, secchielli con pesciolini dentro, corvi e gufi in battaglia per la proprietà di un boschetto, volpi furbissime alle prese con puledrini indifesi. Il gioco della dama, la libertà nel disegno, la scuola e i figli che crescono e diventano giovanetti, il ballo delle lepri e la storia del cavallino che aveva la coda solo nei giorni di festa. Sono alcuni dei temi trattati ne L’albero del riccio e altre fiabe della buonanotte, titolo in italiano dei quattro volumetti che raccolgono una selezione di fiabe scritte e spedite per lettera, dal carcere fascista, da Antonio Gramsci, detenuto matricola 7047, ai figli Delio e Giuliano. Storie che affrontano, con leggerezza, le cose dei grandi e della vita, sono pensieri da dietro le sbarre ed è questo a renderli speciali e, a differenza delle fiabe a cui siamo abituati, non sempre c’è un lieto fine. Leggerle è anche un po’ curiosare nella vita meno conosciuta di Gramsci, per scoprire un suo lato intimista e qualche reperto della sua infanzia in Sardegna.

NELLE LIBRERIE ITALIANE e spagnole, in quattro edizioni, italiano, castigliano, catalano e sardo, perché l’opera nasce dalla collaborazione tra due case editrici, Icaria editorial di Barcellona e Abbà di Cagliari. L’edizione spagnola e catalana è presentata da Rosa Regàs, scrittrice, l’edizione italiana è firmata da Mauro Pala, ordinario di letture comparate. Le traduzioni in spagnolo e catalano sono a cura di Marcello Belotti, da anni trapiantato in catalogna e da sempre innamorato di Gramsci, quella in sardo è di Pepe Coròngiu, esperto di politiche linguistiche. Ogni racconto e ogni lettera è elegantemente illustrato dalla mano di Claudio Stassi, disegnatore per la Bonelli editore. E forse questa delle quattro edizioni in quattro lingue è una trovata editoriale insolita con la pretesa di favorire il dialogo tra idiomi e popoli diversi, seppure vicini. È una idea che irrompe nella scena spagnola di oggi divisa sulla questione catalana, ancora irrisolta, in un momento politico in cui il partito delle destre al governo sostiene che i bambini catalani hanno serie lacune nel buon uso semantico del castigliano.

MISCHIATE ALLE FAVOLE ci sono le brevissime e intense lettere per i figli che vivono in Russia con la madre Julka Schucht, violinista moglie di Gramsci.
Chiede a Giuliano, che non conoscerà mai, le impressioni sul mare che il figlio ha visto per la prima volta. Domanda dei granchi, si informa se ha imparato a nuotare. In un’altra lettera si lamenta con Delio della propria vita tra le sbarre, che «trascorre monotona, ma in modo soddisfacente per la salute» e si rammarica con lui di non poter essere loro vicino, di «non poterli aiutare nel loro lavoro per la scuola e per la vita». Poi si raccomanda con Giuliano di disegnare come vuole, «per ridere e per divertirsi e non seriamente, come se facessi un compito che non ti piace».
Cerca di condividere con loro il suo desiderio di genitorialità, la voglia di esserci, una attenzione protettiva e amorevole, così sensibile alla dimensione della fiaba.