Vladimir Nabokov morì a Montreaux il 2 luglio 1977. Aveva settantotto anni. Pur avendo conservato la cittadinanza degli Stati Uniti, dove, dopo la diaspora russa, facendo tappa per molti anni a Parigi, si era rifugiato nel 1940 nella speranza di un impiego presso un’università americana, nel ’61 aveva cercato soggiorno stabile in Svizzera con l’amata moglie Vera, sua agente e factotum, per continuare a scrivere senza altri impegni e occuparsi di entomologia, la sua grande passione.

La causa della morte fu imprevista e ridicola. Andando a caccia di farfalle sulle Alpi, in calzoncini corti e retino, invecchiato e obeso, cadde malamente sulle rocce, procurandosi una ferità al piede che via via degenerò in un’infezione. Un bacillo fatale l’aveva attaccato e non lo mollò sino all’ultimo.

Lasciò inedito e non finito L’originale di Laura, buttato giù, come era suo solito, su decine di schede che rimasero in disordine, abbozzate, riluttanti a fare emergere un filo guida. Sul fascicolo scrisse «bruciare».

Fu il figlio Dimitri nel 2009 a riordinare, secondo un suo giudizio inaffidabile, un magma che non si sa in quale forma Nabokov avrebbe trasformato. Il presunto romanzo, così com’è, è debole, il fuoco sarà sembrato a Nabokov necessario. Egli giocava spesso col fuoco. Anche il suo capolavoro, Lolita (1955), avrebbe avuto un destino simile se, in extremis, non fosse stato salvato dalla moglie dal cassonetto della spazzatura.

Felice ironia che la passione mesmerica per le farfalle, l’affollamento di difficili nomi di una specie o di un’altra, le misure, i colori di creature rare in un vasto mondo geografico (una certa farfalla prospera solo in Guinea, un’altra nel Madagascar) siano state l’ossessione di un’anima anelante a un collezionismo mentale talvolta di pura immaginazione o di invenzione, una mania da raccoglitore di feticci, della quale tuttavia la bizzarria di Nabokov, il grande esperto mondiale di lepidotteri, aveva bisogno. E altrettanto ironico che, nella sostanza, tale feticismo ossessivo sia stato, come per nemesi vendicativa, la causa della sua morte.

Esperto di ricerca entomologica

Ma torniamo indietro. Giunto negli Stati Uniti, trovò subito impiego quale esperto presso istituti di ricerca entomologica, prima a New York e poi a Harvard. Nel frattempo, venne assunto dalla Wellesley University per l’insegnamento della lingua russa. Non era a suo agio.

Nel 1948 passò alla più prestigiosa Cornell, dove si fermerà fino al ’59, quando abbandonò tutto, Cornell, Harvard e il Massachusetts, per dedicarsi a tour negli Stati Uniti. Le estati le trascorreva di solito in viaggio e per un certo periodo soggiornò a lungo in Oregon. Fu lì che nel 1952 portò a termine Lolita, il ‘libro-farfalla’, caratterizzato da giochi di parole, anagrammi, calembour, sotto i quali si nascondono, fra altri puzzle, i nomi di molte specie di farfalle, vere o inventate.

Nabokov è abile prestigiatore nella scrittura, un trickster, con trovate maliziose. Nelle sue descrizioni degli ambienti naturali egli osserva, per esempio, non le farfalle ma fiori poco comuni (la phantom orchid, la phantom mock, l’esmeralda, la cephalanthera …), nel cui nome, solo come lemma molto secondario si scopre anche parte della tassonomia di categorie di varie tribù di lepidotteri: difficile spesso arrivare a distinguerne l’identità dell’uno o dell’altra.

Il suo è un processo criptato. La farfalla si nasconde: è il mistero di Nabokov, da non rivelare in un discorrere aperto. Così è, per esempio, in Ada (1969), la cui protagonista, fra l’altro, dichiara di volersi dedicare all’entomologia. Eppure, già nel suo nome (un palindromo) si cela la bianca Appias Ada Ada, oppure l’Appias Ada Thasia, oppure, ancora, l’Appias Ada Caria dell’estesa famiglia delle Pieridae.

Ma il trionfo della crittografia va ricercato in quella magnifica parodia comica del critico letterario che è Fuoco pallido (1962), dove, però in un solo caso, quello di Jonathan Swift e le sue due donne: Stella e Vanessa, si fa leggere in modo quasi disambiguato.

Per il resto, la farfalla bisogna cercarla, se si ha fortuna di trovarla, nelle pieghe della doppia (tripla, etc.) tessitura della scrittura. Sono pochi gli esemplari che Nabokov nomina espressamente, con brevissimi commenti: la viceré, da non confondere con la quasi simile monarca, la vanessa, e non molto di più. Le altre, se si vuole, vanno scoperte dal lettore, che deve impegnarsi in un rebus da entomologo.

La meraviglia del gioco di Nabokov sta, direi, nell’abilità fascinosa di aver saputo unire il fiore e la farfalla omonima. Lì è la vasta erudizione e l’acuta astuzia di Nabokov, il quale, dopo qualche anno di spaesamento, mostra un sicuro possesso della lingua inglese.

Nabokov al tavolo  «da lepidotterologo»
Nabokov al tavolo «da lepidotterologo»

Affollamento di campioni variegati

Ma perché, ci si potrebbe chiedere, la sua ostinata omertà sul segreto della farfalla? O delle farfalle, visto che nella sua testa brulica un affollamento di campioni variegati. Cosa gli comunicano le farfalle? Quali occulti segnali gli verrebbero trasmessi? Quali contatti e relazioni si stabiliscono tra l’uomo Nabokov e un lepidottero? Siamo forse nello spazio dei tabù, da considerare magari di pertinenza delle analisi di Freud, cui Nabokov non credeva. Eppure, il suo silenzio è inviolabile.

È uno dei suoi tanti trucchi da briccone divino? È necessario ricorrere alle simbologie indicate negli appositi dizionari, dove la farfalla è indicata, al pari della fenice, come simbolo di trasformazione e resurrezione?

Sarei propensa a pensarla diversamente. La spiegazione potrebbe essere più semplice. La farfalla è una nympha, lo sviluppo del bruco, quindi, secondo l’ottica di Nabokov, essa equivale a quelle ragazze ancora molto giovani che chiama «ninfette».

In sostanza, e in segreto, esse sono le Lolite. Tale è Ada, tale è la Annabel Lee di Poe citata in Lolita, e tale è la prepuberale Flora dell’Originale di Laura. E quanto al folle Fuoco pallido, disseminato di crittografie, riusciamo a rinvenire un fugace accenno alla storia di Vanessa e Stella di Jonathan Swift: Esther Vanhomrigh e Esther Johnson, entrambe giovani e innamorate del Decano di St. Patrick di Dublino. La Vanessa Atalanta, una nymphalidae, detta anche Vulcano, dalle ali variopinte color marrone bianco e rosso, è la farfalla preferita del nostro entomologo.

Ci sono uomini, come Humbert Humbert, il protagonista di Lolita, che si lasciano cogliere dal desiderio di possedere per primi ragazze crisalidi. Humbert Humbert vive della memoria lontana di quello che fu il suo vero primo amore. Egli è un esule immerso nel suo passato, senza alcuna, o quasi, coscienza del presente, e legato invece indissolubilmente, alla dorata adolescenza sulla Riviera francese, dove, appena consapevole dei segreti del sesso, incontrò Annabel Lee, l’eterea protagonista di una ballata postuma di Edgar Allan Poe.

Ne parla nella prima pagina del romanzo, la cui protagonista, Lolita, diviene solo un’ipostasi della precedente Annabel Lee, morta di tifo, prima che i due amanti, invidiati dai serafini alati («di tanto amore i serafini alati nel cielo / invidiavano lei e eme»), potessero consumare la reciproca attrazione.

«Una sua simile l’aveva preceduta? – si chiede Humbert Humbert davanti ai giudici, dopo aver commesso l’omicidio di Quilty – Ah sì, certo che sì. E in verità non ci sarebbe stata nessuna Lolita se un’estate, in un principato sul mare, io non avessi amato una certa iniziale fanciulla. Oh, quando? Tanti anni prima della nascita di Lolita, quanti anni erano quelli che io avevo quell’estate. Potete sempre contare su un assassino per una prosa ornata. Signori della giuria, il reperto numero uno è ciò che invidiarono i serafini, i mali informati, ingenui, serafini dalle nobili ali».

Senza che Poe avesse potuto mai immaginarlo, la sua fragile Annabel Lee (in realtà, sua cugina Virginia Clemm, sposata con sospetto di incesto) diventa una nympha, una crisalide, che si sarebbe reincarnata un secolo dopo in una Lolita.