Gli anni che passano sono il grande cronometro della vita. Un cronometro preciso nel registrare i cambiamenti fisici, l’altezza, la voce, la maturità del corpo, fino al momento in cui la distanza tra una fotografia da ragazzino e una fotografia di qualche giorno prima dà la misura esatta del tempo trascorso. Gira, il grande cronometro della vita, anche quando i cambiamenti avvengono «dentro», frutto di scelte, imprevisti, buona sorte, passione. Di nuovo, niente come una fotografia riesce a raccontarli, perché vanno ad imprimersi sul volto, li tradiscono le sfumature dello sguardo. Se questo vale per Mario Rossi, può valere anche per chi, pur portandosi addosso la qualifica di celebrità, sceglie di mettersi davanti all’obiettivo senza trucchi cosmetici e pose artificiali. Un giorno del 1977, Patti Smith chiama al telefono Frank Stefanko, suo ex compagno di università che vive nel New Jersey. Frank, trentenne, confeziona carni in un mattatoio, ma coltiva fin da bambino una passione incondizionata per la fotografia. Dalla macchinetta del padre, trovata in casa vent’anni prima, è arrivato a possedere una Mamya EB67, roba seria. Con Patti Smith si erano rivisti e frequentati a New York, lei era diventata uno dei suoi soggetti preferiti. Frank ama la musica rock dai tempi di Elvis, e ama ancor di più farne la protagonista dei suoi scatti. La Grande Mela gli aveva offerto l’opportunità di confondersi tra la folla dei concerti, fermando sulla pellicola Frank Zappa, i Rolling, Rod Stewart… Quel giorno del ’77, la chiamata di Patti rivoluziona la piacevole routine di Stefanko nella small town di Haddonfield. La cantante ha appena finito di registrare il terzo album, Easter, negli studi della Record Plant di Manhattan. Qui anche un vecchio amico ha concluso la sua quarta fatica musicale, quella che forse lo trasformerà da promessa a certezza del rock. Il disco si chiama Darkness on the Edge of Town, l’amico risponde al nome di Bruce Springsteen. Patti gli ha fatto vedere alcuni dei ritratti realizzati da Frank. La copertina di Darkness è ancora in alto mare, e Springsteen decide di affidarla a questo tizio cui, nel 1973, aveva mandato una copia dell’album di esordio, Greetings from Asbury Park, N.J., con la dedica «A Frank, il mio più grande fan, dice Patti».

In effetti, Stefanko stravede per lui da quando lo ha ascoltato parlare e suonare ai microfoni di una radio con la E Street Band. «Bruce ti chiamerà presto», garantisce Smith. La telefonata arriva tre mesi dopo, a notte fonda: «Ehi, Frank. Vediamoci e facciamo qualche foto», «Chi è?», «Bruce», «Bruce chi?», «Springsteen, ricordi? L’amico di Patti». Il set sarà casa Stefanko. L’amico di Patti arriva a bordo di un vecchio pick up, portando ammucchiati in un sacchetto di plastica gli abiti di scena: magliette, jeans, camicie a quadri. I due conversano a lungo, sciogliendo l’inevitabile imbarazzo. Poi si comincia a lavorare. Ricorda Frank: «Mi ero appena trasferito in quella casa, e perciò non era ancora completamente arredata. Ogni volta che vedevamo un punto che somigliasse a un’ambientazione naturale per una fotografia, lo illuminavamo, e Bruce provava diverse pose e dava dei suggerimenti. Mettemmo su delle piccole ‘scenette’, sfruttando varie angolazioni e luci differenti per esprimere delle emozioni. La domenica facemmo altre foto, dentro e fuori casa. Bruce, come un attore nato, si inseriva con naturalezza nella scena… aveva un modo tutto suo di prendere posto, mettersi in posa e capire cosa dovesse dire quell’immagine. Lavorava instancabilmente». Trascorre una settimana e Springsteen torna a bussare alla porta. Con lui c’è la E Street Band, pronta per un servizio che viene realizzato nella tavola calda di un incredulo amico di Frank. Le inquadrature mostrano Bruce, Steve Van Zandt e soci intorno al tavolo di un separé; Bruce dentro la cabina del telefono, mentre sfida le luci del flipper, arrampicato su uno sgabello del bancone. Quante immagini, nei giorni di Haddonfield, sono uscite dalla Mamya EB67 e dalla Nikon chiesta in prestito? Quante altre sono state scattate nei quattro anni di East Camden, New York, Filadelfia, Monmouth County? Se risulta inutile azzardare numeri, sono invece una quarantina quelle della mostra Bruce Springsteen. Jungleland. The Photography of Frank Stefanko, per la prima volta in Italia alla Wall of Sound Gallery di Alba fino al 4 settembre, wallofsoundgallery.com. Non è un caso che i lavori di Stefanko siano esposti lì, nella galleria aperta cinque anni fa da Guido Harari, uno che sul connubio musica/fotografia ha tracciato il suo lungo e importante cammino professionale.

Scrive Springsteen nell’introduzione al catalogo della mostra, Arcana editore, euro 25: «Frank aveva la capacità di spogliarti di ogni residuo di celebrità che ti pesava addosso e di ritrovare te stesso… L’assenza di grandiosità nelle fotografie, la loro immediatezza, la loro durezza, era ciò di cui avevo bisogno per la mia musica del tempo… Frank fotografava sempre la tua vita interiore. E lasciava che si vedessero le imperfezioni esteriori». Eccolo, il futuro The Boss, con la camicia a quadri, i capelli scarmigliati, la bocca socchiusa in una specie di smorfia ricorrente nelle fotografie scattate anni dopo, sul viso i segni leggeri di un’acne giovanile. Eccolo appoggiato a una parete coperta da una tappezzeria fiorita, dietro le spalle una finestra chiusa, un po’ James Dean e un po’ Al Pacino nel giubbotto di pelle nera semiaperto su una maglietta bianca. Sarà questa la cover di Darkness on the Edge of Town. Eccolo seduto su un parafango della sua Corvette, davanti all’abitazione degli Stefanko; eccolo ammiccante, ironico, pensoso, nelle inquadrature ravvicinate e nei primi piani. Quasi un duello: da una parte l’attore secondo Frank; dall’altra il fotografo pronto a cogliere l’attimo che supera la posa e arriva alla sincerità. Ammesso che posa ci fosse. La simbiosi perfetta di Haddonfield fa decidere a Springsteen di scegliere una delle immagini di allora anche per la copertina dell’album-capolavoro, The River, 1980. Camicia denim sbottonata, Bruce guarda in macchina, ma i suoi occhi vanno più lontano. Racconta Harari di aver chiesto a Frank il perché dell’assenza di una chitarra o di uno strumento musicale nelle foto prima dell’82, e di aver ricevuto come risposta che nessuno dei due ne aveva sentito il bisogno. Bruce e la sua Gibson acustica sono invece protagonisti del servizio realizzato a Monmouth County, New Jersey, 1982, nel cottage affittato dal musicista. La camera da letto, il salotto, lo sfondo di un muro diventano «ordinaria scenografia» in cui The Boss è la chitarra che impugna, sfiorandosi una tempia con l’altra mano. Ennesimo miracolo di Frank Stefanko, professione broker, mai diventato fotografo a tempo pieno.