In questi giorni il Giudice Tutelare del Tribunale di Roma dovrà decidere una delicata questione che assume un valore emblematico, degno di attenzione. Il caso riguarda la professoressa Carla Pasquinelli, antropologa e collaboratrice di vecchia data del nostro giornale. Colpita da una forma di Alzheimer che le impedisce di curare i propri interessi, è sottoposta da tre anni ad Amministrazione di sostegno. L’Amministratore designato, che non è un parente, ma un avvocato, dovrebbe per legge sostenere i bisogni del «beneficiario» del provvedimento.
Nonostante l’esistenza di ampie disponibilità patrimoniali le è stato imposto un regime di austerità che impedisce la soddisfazione di esigenze vitali. L’installazione di un montascale, ad esempio, che le consenta di uscire dall’appartamento sulla sedia a rotelle in cui è costretta. O un sistema di condizionamento d’aria adeguato alle temperature delle estati romane in un appartamento sottotetto. Un folto gruppo di amici e colleghi di Carla Pasquinelli, tra i quali, oltre al presidente della Società italiana di Antropologia culturale, Ferdinando Mirizzi, Maria Luisa Boccia, Iain Chambers, Pietro Clemente, Giacomo Marramao, Stefano Petrucciani, Giovanna Procacci, Mariuccia Salvati e Aldo Tortorella, assistiti dagli avvocati Sibilla Santoni del Foro di Firenze e Michela Del Vecchio del Foro di Roma, hanno chiesto pertanto al Giudice Tutelare la sostituzione dell’attuale Amministratore.

Chiediamo al Professor Paolo Cendon principale ispiratore della legge del 2004 che regola l’Amministrazione di sostegno e autore del recente I diritti dei più fragili (Rizzoli) di ripercorrere con noi i tratti essenziali di questo istituto.

È scopo della legge conferire priorità assoluta ai bisogni del beneficiario. Ma non crede che di frequente prenda il sopravvento la logica del calcolo economico e della preservazione dei beni, magari a beneficio di qualche erede?
La «qualità della vita» – del beneficiario, come realtà da preservare/recuperare – è il criterio base dell’Amministrazione di Sostegno (AdS). Il legislatore del 2004 sottolinea ciò in maniera quasi ossessiva: agio, pulizia, ascolto, sempre il meglio che si può, igiene, confort, tepore, gradevolezza: ogni articolo, dal 404 c.c. in poi, ripropone quel motivo in varie salse. Ciò che conviene esistenzialmente all’assistito è quanto occorrerà (a) apprestare giudizialmente, (b) realizzare praticamente; ciò che frustra o delude la persona, fisicamente o psichicamente, è per definizione sbagliato, illecito. Dominano per il diritto i «bisogni» del fragile, come fatto oggettivo e uniforme (mangiare, bere, dormire, respirare). Contano poi le «aspirazioni», i desideri, come passaggio individuale, magari strambo o idiosincratico (dire, fare, baciare, lettera, testamento); se occorre bisognerà armonizzarli. Per l’Autorità, la prima cosa da fare entrando nella vita altrui rimane, in ogni caso, l’inventario delle necessità giornaliere, delle concrete esigenze; dopodiché avranno le mani legate sia il magistrato sia il vicario. Il beneficiato è anziano, centenario? Non cambia niente, sarà il suo «best interest» a orientare tutti, a comandare: quel che si può si deve fare.

L’Amministratore ha un potere sulla vita del beneficiario, essendo unico responsabile dei suoi beni e della sua salute. Ritiene che il successivo controllo del giudice tutelare sia sufficiente a impedire abusi?
Chi conferisce all’Amministratore i poteri non è tanto la Legge, bensì il Giudice tutelare. E il giudice non può essere un despota: dovrà allestire un decreto che tratteggi la ricerca e il presidio della miglior qualità della vita, per quel beneficiario; oggi, subito, puntigliosamente, altrimenti il decreto sarà impugnabile. Il soggetto fragile, se è uno che ci sta con la testa, manterrà intatta la propria sovranità; avrà semplicemente – per le cose che stenta a fare da solo (carrozzina, cecità) – qualcuno accanto, in grado di farle in sua vece. Se invece è uno che sbanda mentalmente, che rischia di combinare guai (droghe, alcol, gioco, Alzheimer), allora il giudice gli toglierà un po’ di sovranità, momentaneamente. Sempre un vestito su misura, comunque; tagliato in funzione della più ampia «fragranza quotidiana» per lui: cyclette, tipo di badante, materasso adatto, scuola, domotica, bagno attrezzato, sky, vacanze, tempo libero, ascensore. «Come stai? Cosa ti serve? Sei contento così?», ecco la chiave, sempre quella, fin che possibile.

La legge riconosce giuridicamente solo i parenti del beneficiario, escludendo dalla partecipazione altre persone a lui affettivamente legate. Essendo spesso il parente del beneficiario anche suo erede, c’è forse il rischio di una gestione dell’istituto difforme dallo spirito originario della legge?
Non sono essenziali i familiari nell’AdS. «Fratelli coltelli», «parenti serpenti», il legislatore lo sa bene, un po’ diffida. È nel focolare che andrà cercato, in prima battuta, l’amministratore. Se ci sono motivi per fare diversamente il giudice pescherà altrove. E comunque il familiare-amministratore dovrà fare giorno per giorno il meglio per il congiunto. Altrimenti, se ragiona da futuro erede, con spirito taccagno, in comprovato conflitto d’interessi, andrà rimosso. Gli amici del beneficiario sono stati un po’ trascurati dal legislatore, ma i principi generali restano dalla loro parte. L’amico caro, se vede che le cose non funzionano, può avvertire il Giudice tutelare, o il Pubblico Ministero, o i Servizi sociali.

Nel caso di abusi, come può il beneficiario ottenere un risarcimento?
Una volta sostituito l’Amministratore «sordo e cieco», il nuovo Amministratore potrà/dovrà (autorizzato dal giudice) citare quello precedente per danni. Quando al beneficiario non sia stato tolto un grammo di sovranità (comunque non il potere di agire in giudizio) potrà pensarci lui stesso. Più complicato citare per danni il Giudice tutelare o il Pubblico ministero. La cosa è in teoria possibile, pur se non esistono a oggi precedenti. È vero però che giudici e pubblici ministeri ogni tanto se ne infischiano, clamorosamente. Sarà bene allora perseguirli civilmente, ove ci siano gli estremi.

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