Noi svedesi voliamo cinque volte più della media mondiale», ammette l’ultimo rapporto Climate Barometer realizzato per il Wwf Svezia. Ma i peccatori cercano la redenzione e così dal 2018 fra i connazionali della studentessa Greta Thunberg si è fatta strada la flygskam ovvero «vergogna di volare».
In omaggio al clima, tanti frequent flyers sono tornati al treno. Nei primi tre mesi del 2019, 400.000 passeggeri in meno sono ascesi ai cieli di Svezia. Alla buonora. Da decenni, il trasporto aereo è fra le fonti di gas climalteranti che crescono più rapidamente, minando gli accordi di Parigi sul clima. E’ un carburante fossile, il cherosene, a compiere il miracolo di far volare tutto quel ferro, con passeggeri e merci.

SCRIVE ANDREW MURPHY, del centro studi indipendente Transport & Environment (T&E) con sede a Bruxelles: «Le emissioni dell’aviazione civile sono più che raddoppiate negli ultimi venti anni e, se si valuta l’insieme dell’impatto climatico di apparecchi che volano ad alta quota, il settore è responsabile del 4,9% circa dell’effetto serra antropico». All’anidride carbonica infatti si aggiungono altri gas climalteranti, fra cui il vapore acqueo condensato che, secondo il recente studio di due ricercatrici tedesche pubblicato sulla rivista Atmospheric Chemistry and Physics, ha e sempre più avrà un rilevante impatto sul clima.

NEL 2020, SECONDO LE PROIEZIONI della International Civil Aviation Organization (Icao), le emissioni dell’aviazione saranno del 70% più alte che nel 2005; nel 2050, se continua il business as usual, potrebbero rappresentare un quarto del budget totale di carbonio. La necessità di «mitigare» è affrontata anche nel documento European Aviation Environmental Report dell’Agenzia europea per la sicurezza aerea (Easa).

PARLANO I NUMERI. Per contenere il caos climatico, noi terrestri umani dovremmo scendere a una tonnellata annua pro capite di gas serra, per tutti gli usi. Ma secondo i calcoli del manuale How bad are bananas?, scritto da Mike Berners-Lee, in un solo volo andata e ritorno da Londra a Hong Kong le emissioni per viaggiatore sono quasi tre volte tanto. Forse per questo sono ben poche le compagnie che offrono ai clienti la possibilità di calcolare l’impatto del loro volo; fra queste c’è la russa Aeroflot – l’altra sua originalità è la falce e martello di sovietica memoria tuttora presente nel marchio.

LA MAGGIORE EFFICIENZA DEI PIÙ moderni motori aerei non compensa certo l’impennata dei voli. Che prosegue imperterrita: i movimenti no-fly sono ancora minoranza. Complici i low-cost, si vola come si beve un bicchiere d’acqua. Esempio: alla fine di maggio 2019, per una concomitanza di ponti vacanzieri, finali di coppa dei campioni, Grand Prix di Monaco e festival cinematografici, lo spazio aereo inglese ha registrato il record di 9.000 decolli e atterraggi in un solo giorno.
L’aviazione è un esempio da manuale di esternalizzazione dei costi che si traduce in un circolo vizioso: i prezzi dei biglietti sono inversamente proporzionali alle ricadute ambientali (e dunque sociali) e alimentano la crescita del settore. Eppure l’irlandese Ryanair osa considerarsi «la compagnia aerea più verde e pulita» mentre è al decimo posto nella classifica (stilata dalla Commissione Ue) delle aziende europee con le maggiori emissioni.

SI AGGIUNGANO LE RIPERCUSSIONI acustiche, atmosferiche e territoriali del proliferare di voli e aeroporti – tanto che l’Enrivonmental Justice Atlas, un progetto coordinato dall’università di Barcellona, ha mappato nel mondo 300 casi di conflitti ambientali relativi all’aviazione.

COME CAMBIARE ROTTA? Intanto, ribadiscono diversi gruppi ambientalisti, occorre smettere di trattare l’industria – pesante – del trasporto aereo come se fosse madre Teresa di Calcutta. Le linee aeree in Europa – come in molte altre zone del mondo – non hanno mai pagato un centesimo di tasse sul cherosene. Nel corso di una riunione dei ministri europei delle finanze il 20 e 21 giugno scorso a Bruxelles, Paesi Bassi e Svezia si sono pronunciati per l’applicazione di un’accisa.

MA L’ICAO PUNTA SU UNA proposta-escamotage per la regolazione delle emissioni aeree: la Corsia, o Piano per la compensazione e riduzione delle emissioni climalteranti nell’aviazione internazionale. In sintesi: voleremo sempre di più ma ridurremo le emissioni, de-carbonizzando o quasi. E come? Oltre che ai cosiddetti «carburanti sostenibili» (vedi articolo in basso) e alle migliorie tecniche, si punta a partire dal 2020 alle compensazioni o carbon offsetting: il Corsia permetterà la crescita delle emissioni del settore purché le compagnie acquistino crediti da progetti considerati verdi in altri settori economici. In realtà questo meccanismo, che sarà volontario dal 2021 al 2027 e in seguito obbligatorio, è un «vicolo cieco» secondo T&E; e di «licenza di inquinare, vendita delle indulgenze» incompatibile con gli accordi sul clima, parla il rapporto The Illusion of Green Flying della rete internazionale Stay Grounded formata da 120 gruppi di diversi paesi.

SETTIMANE FA, NELLA BARCELLONA che accoglie ogni anno decine di milioni di turisti, l’80% dei quali arriva in aereo, Stay Grounded ha tenuto la conferenza sul tema «Decrescita dell’aviazione», senza un solo volo – grazie a treni e video-collegamenti. La proposta: invertire la rotta: meno aerei, meno voli, stop a nuovi aeroporti. Tassare il cherosene può servire a questo scopo.

IL BOOM DELL’AVIAZIONE CIVILE (non parliamo poi di quella militare) è anche una storia di ingiustizia climatica. Parlano da sole le immagini dei Boeing che in fase di atterraggio sfiorano i tetti in lamiera e plastica blu della baraccopoli Annawadi a Mumbai, India. Malgrado l’apparente democrazia negli spostamenti dovuta ai prezzi bassi dei biglietti su brevi, medie e lunghe distanze, l’80-90% degli abitanti del pianeta non è mai salito su un aereo. Vale anche per chi ne subisce da terra l’impatto atmosferico, acustico, climatico.