Gli esperti del ministero della sanità lo sconsigliano ma Israele riapre velocemente l’economia e, pare, da domenica anche il suo aeroporto internazionale a Tel Aviv permettendo così il rientro a diverse migliaia di cittadini rimasti bloccati all’estero, in qualche caso per settimane. Un passo – al quale potrebbero aggiungersi ulteriori riaperture attese dalla riunione del governo andata avanti ieri fino a tarda sera – che non è frutto del successo della campagna vaccinale. Anche perché i dati della pandemia sono incerti: i positivi al virus ogni giorno sono migliaia e il numero dei casi gravi e dei decessi non è ancora sceso a livelli da far cessare l’allarme. Piuttosto è la politica che impone la riapertura. A venti giorni dalle legislative – le quarte in due anni – nessun partito vuole apparire agli elettori come quello che frena il presunto post-pandemia. A cominciare proprio dal premier Netanyahu che lo scorso dicembre, quando è cominciata la campagna vaccinale in Israele, aveva promesso la fine della crisi entro marzo. In un solo colpo si è passati dal coprifuoco osservato nelle ore serali e notturne del Purim ebraico agli abituali ingorghi del traffico cittadino come se il coronavirus non esistesse.

I sondaggi non sono più tranquillizzanti per il primo ministro che punta tutto o quasi sul successo della campagna di vaccinazioni per presentarsi il 23 marzo agli occhi degli elettori come il salvatore della patria. Un sondaggio della tv Channel 13 indica che il blocco pro-Netanyahu otterrà 45 seggi mentre quello dei suoi numerosi oppositori avrà 60 seggi, uno in meno della maggioranza della Knesset. Il Likud, il partito di Netanyahu rimarrebbe il più grande della Knesset, con 27 seggi su 120, tre in meno rispetto a un sondaggio condotto all’inizio di febbraio. A minacciare il premier di destra non è la sua naturale opposizione, il centrosinistra, ormai agonizzante. A tentare di togliergli lo scettro che tiene in pugno dal 2009 sono due rivali di destra, Naftali Bennett e Gideon Saar, e il centrista Yair Lapid: con 18 seggi il suo partito, Yesh Atid, si piazzerà subito dietro il Likud.

Restano in bilico le sorti della Lista unita araba che dopo aver perduto una delle sue quattro gambe, il partito islamista Raam, pare destinata a riconfermare solo dieci dei 15 seggi che aveva conquistato appena un anno fa. Stanchezza, delusione per i pochi risultati raggiunti e desiderio di contare di più hanno allontanato dalla Lista una porzione della sua base. A penalizzarla è inoltre la prevista ridotta affluenza araba alle urne che dovrebbe attestarsi intorno al 50% dopo aver superato il 60% alle elezioni di un anno fa.