Andrea Scarabelli, classe 1983. Siamo una generazione educata. Una generazione resistente ma pigra alla lotta. Una generazione brava a sopportare, a cui non piace troppo alzare la voce. Quando non può farne a meno si rifugia nei cortili igienici dell’ansia e del panico. Siamo la generazione capace di raccontare bene gli individui, mediocremente le coppie, mai le masse. Massa, popolo, sono parole incartate bene da tirare fuori nei giorni prestabiliti per manifestare. Le manifestazioni appaiono e scompaiono in tempi scanditi come le feste di compleanno. Poi c’è un’altra generazione. Con loro abbiamo in comune gli autobus soprattutto la mattina e a ora di pranzo, pochi bar, a volte i cinema. Di solito ci ignoriamo, perché per noi loro sono piccoli e per loro noi siamo vecchi, sono gli unici a darci del «lei», e allora preferiamo ignorarli e continuare a farci chiamare «ragazzi» da quelli più vecchi di noi.
Tra i primi e i secondi, quindici anni di vita. Una distanza inutile per qualsiasi legame familiare. Una distanza piena di pudore per qualsiasi altra idea di rapporto. La velocità di lotta di Andrea Scarabelli (Agenzia X, 192 pagine, 12 euro) parla di queste due generazioni. Poi parla di precariato, il più strisciante, quello che qualche politico con la vecchiaia assicurata ha ribattezzato «cognitariato»: il precariato dei creativi, il precariato basato sui sogni. Quei sogni germinati a quindici anni, le fantasie che i genitori chiamano «cazzate». Siamo la prima generazione ad avere massificato le professioni nate dai sogni.

Diego fa il copy in un’agenzia pubblicitaria. È lui che deve stimolare l’immaginario della gente per spingerla a comprare. Qualsiasi cosa gli venga proposta. Era il suo sogno scrivere. A trent’anni la sua gabbia dorata non è niente male: ha una casa in cohousing, si veste come gli pare (anzi, una certa finta sciatteria è gradita al suo capo), conosce tutti gli Arci più di moda e i centri sociali più movimentati di Milano. Sa che finché ci saranno sigarette e caffè ci sarà speranza. Sa anche che dal primo anno di Università ad oggi non è cambiato niente. Dentro, questo pensiero lo tarla. Ma impara a restare più immobile possibile per non sentire dolore.

Finché non conosce la quindicenne Lotta, sintesi di Carlotta e di uno strascico di nomi troppo inutili, capaci solo di rallentarla. Per questo lei li ha lasciati tutti a casa ed è scappata a Milano. Lotta lo salva dall’ennesimo discorso inutile alla fine di una serata inutile, lo toglie dalle grinfie di un ragazzo invasato dall’ipnosi come salvezza, «ha i lineamenti funzionali di un identikit al telegiornale, quel volto intercambiabile che trasforma ogni mio sforzo di prendere parte alla movida in una partita a Indovina chi». Diego chiude gli occhi, e quando li riapre vede che accanto a lui c’è una ragazzina che si ripara, appunto una di quelle che guardi due minuti nel tram, che non frequenterebbe mai i tuoi posti.
Lotta è naïve come si può essere solo a scuola, quando ancora credere a tutto è vitale. Quando ancora non credere a niente sembra solo stupida rassegnazione da vecchi.
Lotta è scappata dalla fine di un sogno, quello dei suoi genitori. Che grazie a un lavoro qualunque, soldi buoni in cambio della fantasia, si sono innamorati. I genitori di Lotta i sogni li hanno messi in banca invece di sperperarli in idee bislacche, ma neanche quello è servito. Fine della banca, fine del lavoro, fine di tutto. Sono così presi a litigare che si dimenticano di lei. Allora Lotta inizia a vivere, a modo suo. Si allontana sempre un po’ di più, fino ad arrivare sotto la giacca di Diego. Dalla provincia a Milano.
Diego diventa il copy di entrambi, riesce a riconvertire ancora una volta la maledizione di avere idee, questa volta in qualcosa di buono. Riesce a intessere i fili fino a fare di Lotta un caso mediatico, l’unica arma efficace del XXI secolo, e una scintilla di quella rivoluzione di cui ha sempre sentito parlare, da quelli più grandi, ma che non è mai riuscito a fare. Aiuta il destino a fargli incontrare di nuovo anche Marianna, l’unica che abbia amato, persa piano piano nel gioco a rialzo dei sogni in cambio di soldi. Lei lavora per la televisione, sarà lei la leva per fare di Lotta una bomba pronta a esplodere nelle coscienze di tutti. Lotta si infila a casa sua, e Diego si sveglia. Ruba una bicicletta, mangia con le gambe a penzoloni sul nulla all’Expo in costruzione, ruba i vestiti da H&M. è Lotta che detta le regole, ma, appunto, quella di Diego è una generazione ubbidiente. Però i suggerimenti sono i suoi, e allora ecco che disegnando uno scoop perfetto, Diego arriva, nello stesso giorno, a liberarsi del suo lavoro e a portare l’hashtag #giornodilotta tra i trend topics di Twitter, a fare di Lotta una leva di speranza, di rivolta, addirittura di massa.

Non è frequente leggere romanzi in cui non si parli ossessivamente di rapporti e di nevrosi personali. Corre, si ferma, cammina, ti aspetta. Forse è questo il motivo per cui non provi quella sgradevole sensazione che provi quando sei costretto ad ascoltare un conoscente in fissa con l’ipnosi, o a leggere il romanzo che tutti stanno leggendo, e a chiederti in nome di cosa si stanno prendendo il tuo tempo, la tua vita. Le parole, certo, sono importanti. Quelle giuste, messe insieme e offerte al momento giusto, possono indurre Rivoluzione. Andrea Scarabelli ci prova. Vediamo chi accetta la scommessa.