In Afghanistan i Talebani continuano l’offensiva militare, ma sostengono di essere pronti al dialogo negoziale. Per tutta la giornata di ieri ci sono stati scontri a Qala-e-Now, capoluogo della provincia occidentale di Badghis, una delle 4 province per molti anni sotto la responsabilità dei soldati italiani, senza che riuscissero mai a «stabilizzarla».

IERI I MILITANTI del movimento guidato da Haibatullah Akhundzada sono entrati nella cittadina su decine e decine di moto. Sono riusciti a far evadere almeno 200 detenuti dal carcere. Secondo molte ricostruzioni, non ci sarebbe stata resistenza da parte dei soldati governativi, arresi di fronte alla spallata dei Talebani, che nelle settimane e nei giorni scorsi avevano già conquistato quasi tutti i distretti della provincia. Soltanto in un secondo momento sarebbe arrivata la risposta delle forze di sicurezza afghane, quando i Talebani avevano già terminato la loro esibizione di forza militare.

Ma secondo il Consiglio di sicurezza nazionale, sarebbero 40 i talebani uccisi nei raid aerei, 29 nei combattimenti, 29 feriti. Molti civili avrebbero abbandonato la cittadina. Parte delle decine di migliaia di famiglie sfollate a causa dei combattimenti delle ultime settimane.

Nelle stesse ore in cui i militanti islamisti entravano a Qala-e-Now, una delegazione talebana guidata da Abbas Stanekzai, pezzo da novanta della diplomazia degli studenti coranici, incontrava a Tehran una delegazione del governo di Kabul. Presenti il consigliere del presidente Ghani, Salam Rahimi, l’ex vice presidente Yunus Qanuni e il capo dello staff dell’ex presidente Karzai, Karim Khorram. A mediare, il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif. Che si è detto soddisfatto del ritiro degli americani, ma preoccupato dell’instabilità nel Paese confinante.

COME TEHERAN, molti altri attori regionali stanno intensificando le pressioni sui Talebani affinché tornino al tavolo negoziale. Il dialogo intra-afghano è cominciato nel settembre 2020, producendo poco o nulla. Le capitali regionali vorrebbero imbrigliare i Talebani dentro una cornice politica che li trattenga dalle spinte verso la presa del potere militare. Nessuno sembra gradire l’ipotesi di un governo tutto targato-studenti coranici.

Ma a Kabul ora sono più restii di prima a tornare a Doha a negoziare seriamente. La preoccupazione è che i Talebani possano mettere il «fronte repubblicano» in una trappola. Strappando ulteriori concessioni rispetto a quelle già ottenute dagli americani, «andati via come ladri» pochi giorni fa dalla base militare di Bagram, come ci hanno detto i residenti.

Certo è che se fino a pochi mesi fa i Talebani potevano chiedere un quarto del potere, oggi non si accontenteranno di meno della metà. A pesare sul tavolo negoziale sono i distretti conquistati nelle ultime 4/5 settimane. Sarebbero almeno un quarto quelli sotto il loro controllo.

Colpisce in particolare la velocità con cui le truppe governative hanno ceduto nell’area del nord e nord-ovest, dove i Talebani hanno sferrato un’offensiva in chiave preventiva, per evitare che la vecchia «Alleanza del nord» si ristabilisse.

Il governo di Kabul continua a negare la gravità della situazione e a sostenere di poter incassare il colpo. I distretti perduti? Ritirata strategica. Ma che la situazione sia preoccupante lo dimostrano le pressioni delle ultime ore del governo sui media, con il tentativo di imporre codici di regolamentazione. L’obiettivo, impedire la diffusione di notizie sgradite, tra cui quelle sulla veloce avanzata dei Talebani.

CHE DUE GIORNI FA si sono detti pronti a riprendere seriamente il dialogo negoziale: entro un mese, ha sostenuto un portavoce del movimento, forniremo un piano dettagliato di pace ai nostri interlocutori. Per ora, continuano a combattere e a macinare distretti.